Il tempo e lo spazio si piegano allo scandirsi del segno; le due sedi della Galleria Cesare Manzo, a Roma e Pescara, vengono accordate nella personale dell’artista Matteo Fato, presentata il 23 settembre in entrambi gli spazi.
Per l’occasione, Fato propone un progetto inedito iniziato nel 2004 come tentativo di mappare il volo delle rondini sopra i tetti di Pescara. Dopo un mese di ricerca eseguita come intensivo rito mattiniero, le centinaia di chine su carta risultatene vengono incartate e riposte. Rallentate. L’anno seguente, Fato torna sul luogo in cui ha realizzato lo studio dal vero e compone una seconda serie di chine in assenza dello stormo. Basandosi sulla memoria di ciò che vide, traccia il ricordo come se sviluppasse un archivio fotografico da lungo tempo dimenticato. Il confine cartaceo ora è il cerchio. Al ritorno delle rondini, Fato si reca un’ultima volta sui tetti cercando di isolare le traiettorie dei singoli corpi in volo attraverso l’occhio della telecamera. Le cassette girate sono depositate in una scatola e conservate. Nel corso dei successivi quattro anni l’artista sviluppa un proprio linguaggio pittorico esplorando le strutture di esperienza e conoscenza attraverso il segno calligrafico.
Nei corridoi della galleria di Pescara, un fil di ferro si storce da una frase presa in prestito: una frase di cui l’artista si appropria perché percepita come portatrice di qualche verità essenziale. Prima di manifestarsi come oggetto tangibile, la frase è stata letta, copiata, riscritta, letta, copiata e riscritta. Incorniciati e appesi, i cerchi dalla seconda serie del progetto mettono a fuoco il ricordo di un tempo futuro che riappare accanto come visione inquietante nella proiezione video delle rondini isolate.
A Roma, le prime tracce del progetto sono riprese ed animate in un video che emana l’aura di un momento perduto. I disegni stessi sono posizionati su un tavolo continuo che attraversa le sale della galleria, rivelandosi, nella loro disposizione, proto-simboli nati per annunciare la nascita di un nuovo linguaggio. Per Fato, il vuoto è un testo congelato in quel preciso istante prima della realizzazione di questa impossibile rivoluzione linguistica. Ciò che quindi rimane è il tempo: un gruppo di sculture in ferro illuminano la perdita della cadenza ed il linguaggio ricerca l’assurdità del suo rinnovamento in una stasi fra parola e fantasma.