GlobArtMag propone oggi un’intervista a Luana Perilli, sensibile, poetica ed ironica artista della nuova scena dell’arte contemporanea italiana. L’artista ha da poco vinto il Premio Termoli 2009 con l’opera Complicity (hug) ed è stata tra i grandi protagonisti dell’ultima Quadriennale di Roma nel 2008.
G. Nelle tue opere riesci a far coesistere universi dissimili fra loro, memorie fantastiche e private si uniscono a vissuti universali e spunti storici mentre eteree proiezioni video si intersecano con la scultura. Quale è il meccanismo di questa mitologia personale?
L.P. Mi piace lavorare in modo stratificato accostando una lucida ricerca sul mezzo e il linguaggio ad una forma accogliente ed emotiva legata spesso alla memoria e al quotidiano. Ogni lavoro è una ricerca che si muove attraverso più mezzi, più stesure, più punti di vista. Qualsiasi ricerca parte cercando le connessioni tra una struttura logica e tecnica meticolosamente articolata e un’intuizione tutta privata fatta anche dei più risibili aspetti autobiografici. Imparo molto dalla tecnica che utilizzo. C’è una filosofia sottovalutata nel fare.
Credo profondamente in una metodologia simile a quella sostenuta da Italo Calvino: la necessità di darsi una stretta serie di regole e attraverso il loro adempimento o aggiramento produrre il lavoro ”..l’importanza della restrizioni nell’opera letteraria, l’applicazione meticolosa di regole del gioco molto rigide, il ricorso ai processi combinatori, la creazione di opere nuove a partire da materiali preesistenti.. soltanto operazioni condotte con rigore, nella fiducia che il valore poetico possa scaturire da strutture estremamente restrittive.” L’imprevisto nell’incontro di regola, sentimento e autobiografia è sempre salutato con euforia.
G. Abbiamo avuto modo di apprezzare la tua meravigliosa installazione alla XV Quadriennale di Roma. Puoi spiegarci cosa ha significato per te questa importante esperienza e se essa ha cambiato qualcosa nel tuo percorso artistico?
L.P. E’ stata una bellissima esperienza lavorare alla Quadriennale. I curatori e l’organizzazione sono stati estremamente disponibili e attenti nonostante il grande numero di artisti ne ho proprio un bel ricordo e credo sia stata un’edizione molto riuscita.
G. Quali artisti reputi essere fondamentali nella scena dell’arte contemporanea e chi di questi ti ha maggiormente influenzato?
Non so davvero se siano fondamentali o contemporanei ma ora in relazione a quello che mi piace mi vengono in mente (da leggere tutto d’un fiato):
Le sculture di un minuto di Erwin Wurm, i disegni di Christo, i primi lavori di Bruce Nauman e la sua piazza a Munster, un’installazione di Boltansky al Louvre sugli oggetti smarriti che diventavano reperti archeologici, i soffi di Penone, le paure di Solakov, la tenerezza e la devozione tecnica di certe madonne dei Della Robbia, l’odore di colla coccoina di Bruno Munari, i video di Keren Citter, i corti di Svankmejer, la “supercazzola” di Tognazzi, certe facce che fa Marcello Mastroianni e certe inquadrature che gli fa Federico Fellini su certi pensieri di Ennio Flaiano, tutti i minuti di Nostra Signora dei Turchi di Carmelo Bene, tutti i libri di Italo Calvino.
Bonus track – Io che sento la musica lirica alle 4 di notte tanto i muri di casa sono di tufo!
G. Mentre le tue opere sono caratterizzate da un’estetica fresca ed innovativa, di respiro internazionale, la maggior parte della produzione artistica italiana legata al contemporaneo non riesce a liberarsi dal pesante fardello dell’arte classica. Sei d’accordo con questa affermazione?
L.P. Forse farò un discorso impopolare ma credo che la mia generazione e quella precedente possano vantare dei bravi artisti italiani, non tutti valorizzati e valutati secondo la mia opinione ovviamente ma in ogni modo bravi. Le carenze individuali, le ingenuità formali e contenutistiche come un rapporto troppo didascalico con le attitudini e le tradizioni locali sono cose rintracciabili un po’ ovunque nel mondo.
Credo che la tradizione iconografica del paese di origine di un artista rappresenti una forma di doppia sfida. Inizialmente si tende a voler liberarsene privilegiando un linguaggio anche forzatamente internazionale e un po’ innaturale o inutilmente concettoso per poi riappropriarsene in maniera leggera e critica più avanti. Un po’ come ci si rapporta con la propria storia privata per attraversare e superare l’adolescenza. La maturità mi sembra sul piano privato e lavorativo un processo di riappropriazione critica.
Mi preoccupa piuttosto che vengano dati i tempi e gli strumenti, anche economici, affinché questa maturazione avvenga. Cresciuti negli anni ’80 e ’90 ancora si pensa troppo spesso ad un modello di successo rapido ed indolore che è evidentemente entrato in crisi. E’ necessario davvero pensare alla“Sostenibilità”, ma non solo economica, una sostenibilità possibile anche nella crescita e nella realizzazione professionale.
(ma questa era una domanda trabocchetto per farmi sembrare antipaticissima con i colleghi?)
G. Pensi che in Italia siano presenti sul territorio strumenti ed istituzioni in quantità sufficiente per meglio supportare e promuovere la giovane arte? Quali ritieni funzionino al meglio?
Qui latitano soprattutto le istituzioni, mancano i fondi pubblici. Ci sono ottime fondazioni, ottime gallerie, ottimi critici ma mai abbastanza spazio né un’intenzione programmata, ragionata, critica e forte di promuovere un’altrettanto ottima generazione di giovani artisti italiani.
Premi e supporti, residenze e finanziamenti statali sono in altri paesi la fonte principale di promozione e sostegno per gli artisti. Qui vengono troppo spesso lasciati alla fatica e al buon cuore di iniziative private che ovviamente non possono farcela a sostenere tutte le realtà che andrebbero valorizzate.
Però sono ottimista. Le cose andranno meglio contro ogni previsione possibile.
G. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
L.P. Imminenti e improrogabili in ordine sparso: installazioni site specific, sculture di terracotta, 2 video di cui sono molto orgogliosa, rismettere di fumare, mostre, alcuni lavori microscopici su carta di pazienza amanuense per provare il mio sistema nervoso, restaurare, traslocare, uscire più spesso di casa, partire di nuovo, un flirt col cinema, rimangiare almeno una volta le fragole (anche se sono allergica), trovare fondi per un progetto troppo ambizioso, molto caffè con molto zucchero e alcune ottime conversazioni con gli amici e gli affetti più cari.
G. Ed ora le classiche tre domande finali: Pablo Coelho o Jean Paul Sartre?
L.P. Potendo scegliere direi l’opera di Jean Sol Partre “Il vomito”, rilegato in pelle di puzzola, così come la descrive Boris Vian nella Schiuma dei Giorni.
Sono per un ottimismo sfrenato, cinico e surreale. E un po’ di poesia.
G. Kraftwerk o Iron Maiden?
L.P. Kraftwerk senza dubbio. Un desiderio irrealizzabile: Kraftwerk più archi più voce di un evirato cantore del ‘600.
G. Rainer Fassbinder o Michelangelo Antonioni?
L.P. Blow up con l’audio delle lacrime amare di Petra Von Kant come parodia di un vecchio divertentissimo errore personale.