La galleria Ca’ di Fra’ di Milano inaugura il 26 novembre la mostra Paesaggi Verbali, collettiva che non guarda con ammiccante favore al puro valore estetico dell’opera, ma al suo più profondo intento intellettuale…per continuare a interrogarsi.
L’essenza dell’arte è nell’idea? L’opera d’arte si risolve nell’ attimo prima della creazione materiale vera e propria? Nel processo di creazione mentale e non nel prodotto finale? Il Concettuale sostiene proprio questa tesi. La filosofia del linguaggio assume un’ importanza di primo piano nella ricerca della essenza dell’arte; Ludwig Wittgenstein, attraverso la logica del linguaggio affascina artisti e pensatori come J. Kosuth, Salvo, Pier Paolo Calzolari, Vincenzo Agnetti.
Il “segno” come veicolo d’idee e quindi di arte (Salvo con le sue Lapidi e Favole di Pietra, Vincenzo Agnetti , Alighiero Boetti).
L’ “oggetto d’arte” diventa il semplice veicolo visibile attraverso il quale si trasmette l’idea, la vera opera, perdendo così la sua importanza, almeno per l’artista.
L’opera d’arte è un processo cerebrale, la sintesi finale di un percorso filosofico. Arte è lo stesso parlare d’arte, lo stesso comportamento assunto quotidianamente dall’artista per il solo fatto d’esistere (Vincenzo Agnetti – Emilio Prini).
Siamo davanti ad un concetto dell’arte rivoluzionario, una ventata di novità che investe non solo la concezione stessa di uomo–artista, ma anche l’essenza millenaria della storia dell’arte: non più storia di prodotti, ma storia d’idee. Si tratta di una visione utopica dell’arte, un sofisticato tentativo di non mercificare l’uomo quale fonte d’idee. Questo pensiero ha nel suo dna una componente dichiaratamente concettuale; l’idea diventa principale rispetto al prodotto. Idea peraltro rivoluzionaria quella di un’arte che possa fare a meno del suo stesso prodotto, un percorso filosofico-creativo che ha alla sua base la sottrazione.
Il rifiuto della mercificazione dell’opera presuppone una concezione politica del reale, ma il linguaggio spesso criptico e, di conseguenza, il non ritenere necessariamente primaria l’esemplificazione dell’operazione artistico – intellettuale alle masse, denota una posizione a-sociale dell’artista (J.Kosuth–Sol LeWitt “l’artista è a-sociale”) e, spesso, una difficile decodificazione immediata dell’ “oggetto arte”.
Mentre in America, culla del Concettuale, l’artista tenta un discorso filosofico – linguistico, in Italia l’intellettualità assoluta americana si stempera e si amalgama con l’Arte Povera, assumendo caratteristiche assolutamente peculiari (Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari). Il pensiero concettuale ha attraversato il panorama artistico come un temporale di mezza estate, potente, ma di breve durata (metà anni ’60 – fine ’70).
Passato il tornado, i protagonisti presero strade autonome e differenti, ma portandosi sempre nel loro bagaglio mentale e culturale un pensiero filosofico-artistico con il quale rapportarsi, mentre la storia dell’arte aveva fatto un altro balzo in avanti.