“Io sono il filo rosso che attraversa la fragilità del reale”: questa è l’immagine che Urs Lüthi, in un’intervista rilasciata a Christoph Lichtin, sceglie per rappresentare il rapporto tra la sua arte e la propria vita. Successivamente Lüthi dice: “Per mostrare le emozioni per prima cosa devi dare loro una forma”.
Nella personale che inaugura il 13 marzo alla OTTO Gallery di Bologna, prima mostra in una galleria privata in Italia in cui l’artista svizzero porta in scena il suo percorso impostato sulla continuità e sulla rottura dopo un anno in cui la mostra itinerante Art is the better life ha toccato diverse istituzioni museali quali il Kunstmuseum di Lucerna, il Kunst Meran di Merano, il CRAA di Villa Giulia a Verbania e in cui il MACRO a Roma ha inaugurato Just another story about leaving.
In Nothing to hide, dalla incerta solidità data dalla smaterializzazione corporea delle sculture in bronzo, si passa alle due sculture in vetro in cui lo spessore del corpo diviene fragile trasparenza e l’artista sfugge anche l’ultimo residuo di precaria stabilità per farsi filiforme reliquia, mentre l’immagine si converte in un enigmatico riflesso. Le due sculture in vetro presentate in questa mostra, grazie all’allestimento dialogano con le altre e differenti opere: fotografie di grandi dimensioni, tra cui Autoritratto a mani vuote (2009) che fa parte del ciclo presentato al MACRO a Roma, in cui l’artista si interroga sul senso del passare del tempo e della memoria che ne rimane indelebile grazie alle tracce del passato. Così viene esplicitato il cambiamento sempre costante della ricerca artistica di Lüthi, un contrasto di continuità e rottura sempre reso evidente e trasparente.
Nel caleidoscopico susseguirsi di esperienze vissute, percezioni e riflessioni che si traducono quasi inevitabilmente in forme plastiche, in dominanti cromatiche, in differenti mezzi espressivi, il “filo rosso” è l’intima esigenza di articolare e trasporre se stesso nella creazione artistica, scoprendovi il piacere di un’espressione radicalmente autonoma ed infinitamente plasmabile. Il cosiddetto fil rouge è la linea di continuità che lascia intravedere nelle opere di Lüthi il percorso artistico intrapreso, il sentiero di un’esistenza unica ed irripetibile, fondata sulla ricerca artistica mai fine a se stessa, ma atta ad un miglioramento della vita e non solo.
L’ironia di Lüthi lo preserva da stucchevoli lirismi e da ogni egocentrismo; la sua arte non è mai necessitata dalla vita, ma rimane possibilità aperta, mentre la sua identità non si staglia tronfia di sé nelle opere, ma si cerca essa stessa: davanti all’obiettivo sorride della propria irriducibile ambiguità e del vano tentativo del pubblico di scioglierla e ridurla ad oggetto.
Lüthi sfida l’eterna definizione della scultura e la solidità del bronzo, destrutturando la sua figura in blocchi che, pur in tutta la loro precarietà, mantengono un inesplicabile equilibrio. Dalla destrutturazione dell’immagine, il cammino continua senza interrompersi rincorrendo la creatività dell’artista tenendosi alla larga da ogni fissità stereotipata. Così il volto di Lüthi rimane sempre sulla scena portando la propria irresolutezza in magmatiche colate bronzee o liquefacendosi nel candore della cera, piuttosto che nell’impalpabilità del vetro.
Per questo non v’è davvero più “Nothing to hide”, niente da nascondere.