Recessione o non recessione? Difficile a dirsi in un mercato dell’arte dove non esiste una reale piattaforma statistica in grado di quantificare introiti e vendite. Gli unici dati disponibili sono quelli delle aste ma dopo la bolla speculativa e dopo il crollo della Lehman Brothers le quotazioni di molte stars del contemporaneo hanno subito un congruo ridimensionamento. Un valido segno dell’andamento del mercato potrebbe essere però estrapolato dalla resistenza alla crisi che le gallerie private riescono ad opporre.
Nell’autunno del 2008 il celebre critico americano Jerry Saltz predisse che 100 gallerie di New York avrebbero chiuso i battenti di li a pochi mesi, in realtà ad oggi solo 25 dealers sono usciti di scena e la grande mela ha comunque registrato nuove aperture che hanno doppiato le perdite. Ed in Italia il mercato come va, in che modo possiamo analizzarlo? Beh, niente di più difficile. Anche da noi c’è stato un ricambio di gallerie, vi sono state manifestazioni fieristiche che si sono chiuse positivamente ed altre meno. Il Nostro problema però non risiede nella crisi poiché l’oggetto artistico è da considerarsi un bene di lusso e come si sa durante i periodi di recessione le statistiche recitano sempre la stessa litania: “ricchi più ricchi, poveri più poveri”. Inutile dire che un bene di lusso (od un bene accessorio in genere) può essere acquistato solo da chi è in grado di permetterselo. In Italia dunque potrebbero essere in molti a trasformarsi in futuri collezionisti d’arte contemporanea ma la confusione del nostro mercato scoraggia il potenziale acquirente, costringendolo a rifugiarsi in altre tipologie di investimento. La confusione risiede nel processo di promozione di un determinato artista che invece di essere supportato da tutto il sistema viene avvalorato da una cordata e sbugiardato da un’altra, a seconda dei vari interessi politici o strategici.
Editori e Fondazioni pubblicizzano alcune proposte, Curatori e Gallerie ne spingono altre, Biennali e Quadriennali ne foraggiano altre ancora. Insomma vi sono artisti raccomandati (ed è un peccato ed al tempo stesso non lo è), ma del resto anche Damien Hirst e Jeff Koons lo sono stati, lo sono. Abbiamo la nostra creatività modello Ikea-Art e forse ci stiamo impegnando per sovvertire questa estetica o forse non la sovvertiremo mai.
L’importante adesso è creare un mercato perché senza mercato non esisterà mai un’alternativa e la nostra creatività diverra sempre più anemica ed atona. Se questi artisti raccomandati e fautori della Ikea-Art fossero realmente supportati da un sistema unificato forse potremmo anche noi bissare il successo degli Young British Artists e comprendere che sino ad allora l’Inghilterra era ferma a William Turner e Richard Hamilton. Magari potremmo avere anche noi (se non uno squalo) un ratto in formaldeide in grado di mesmerizzare il mercato internazionale, tramutando l’argilla in oro. La Transavanguardia e la monarchia creata da Achille Bonito Oliva ha dato i suoi frutti anche all’estero e, per quanto i detrattori continuino a parlarne male, è stato l’unico caso di unità della scena nostrana che ha realmente creato un mercato.
Micol Di Veroli