La galleria Massimo Minini di Brescia presenta dal 10 aprile al 22 maggio 2010 la quinta mostra personale di Stefano Arienti (nato ad Asola, Mantova nel 1961. Vive e lavora Milano) incentrata su una riflessione del tutto personale sui concetti di decorazione e pittura, quest’ultima mostra ci svela solo rappresentazioni di paesaggio e natura.
Punto di partenza dell’artista sono immagini preesistenti, poster fotografici stampati in offset acquistati in un colorificio come tappezzerie, che vengono manipolati e assemblati grazie a cuciture fatte a macchina. In alternativa Arienti utilizza anche sue fotografie che diventano la traccia da percorrere per l’utensile meccanico che andrà ad incidere, segnare, disegnare la pietra.
Nel primo caso l’azione sulla carta ne cambia la consistenza conferendo alle opere un inatteso aspetto materico, segnato dalle imperfezioni causate dalla macchina da cucire, che traccia fili colorati della stessa tinta presente nell’immagine oppure cuce senza filo una semplice traforatura.
Nel secondo caso l’immagine fotografica digitale si essenzializza per gradi: da principio nel computer, dove avviene la correzione con il fotoritocco, successivamente dal marmista, dove diventa un tracciato digitale che guida l’utensile per incidere la pietra. Quest’ultimo passaggio è un processo altrettanto delicato dove di nuovo le imperfezioni della macchina restituiscono sensibilità al soggetto rappresentato.
Arienti mira a meccanizzare le immagini senza distruggerle. Il suo intervento crea una sorta di sinestesia tra l’immagine di partenza e la materia trasformata: ricucendo i tagli la fotografia diventa ‘tessile’, quasi un arazzo, e la pietra incisa diviene ‘pittorica’, quasi un dipinto.
La trasformazione apparente della materia, il rinominare i materiali, l’intervento minimo sulle cose sono la cifra da cui partire per riuscire a comprendere un lavoro che tende alla pittura più di quanto superficialmente non tratti. La manipolazione che trasforma e la modificazione apparente scardinano la consuetudine cognitiva dello spettatore lasciandogli la meraviglia di sorprendere l’accidentalità, la contingenza della cosa, della vita stessa.
giovanni leto 24 Luglio 2010 il 11:32
Lettera aperta
Sono a far sapere che dal 2006 circa, Stefano Arienti, non trova di meglio che rifare il mio personalissimo gesto di attorcigliare la carta, gesto che dal 1985 caratterizza la mia ricerca: i miei “Orizzonti”, le mie successive opere oggettuali ed installative degli anni ’90 e quelle di questo ultimo decennio.
Un esempio vistoso di questo vero e proprio indegno saccheggio è nella produzione che egli è andato ad esibire a New York alla Lehmann Maupin Gallery, poi in Italia in varie sedi espositive ed ora nell’opera presentata di recente al MAXXI di Roma, che ricalca in tutto le mie “Liane” in carta di giornale ritorta, eseguite nel 2003 e pubblicate sia nel catalogo della mia personale al “Museo Guttuso” a Bagheria, sia nel mio sito.
Qualsiasi altro artista, nel copiare, avrebbe almeno tentato di aggiungere qualcosa di proprio, Arienti no! Non è stato capace neanche di questo minimo sforzo e ciò la dice lunga sulla sua tanto apprezzata “capacità – come dicono – di reinventare un materiale”.
In seguito a questa mia pubblica denuncia, il nostro ha saputo soltanto premurarsi a far cambiare nella scheda del MAXXI che accompagna quell’opera la data di realizzazione ampliandola a dismisura (1986 -2004, neanche si fosse trattato per lui di affrescare la Cappella Siistina). Farà lo stesso con l’opera che si accinge a presentare nella mostra La scultura italiana del XXI secolo che si terrà ad ottobre a Milano, opera già pubblicata in Exibart?
Per sua sfortuna sono i suoi stessi cataloghi a smentire tutto, a mettere in risalto la sua malafede.
Vogliamo continuare a promuovere surrogati?
Non ci lamentiamo però delle mercanzie contraffate dei cinesi perchè almeno quelle non sono costose.
Giovanni Leto