“Non ho mai detto che i video games siano un’arte” e queste parole ci riempiono di stupore visto che a pronunciarle è stato proprio Shigeru Miyamoto, uno dei padri fondatori della moderna industria dei video giochi nonché creatore di vere e proprie leggende elettroniche come Super Mario Bros e la serie di Legend of Zelda. La dichiarazione è stata resa nota ai microfoni dell’Associated Press la settimana scorsa quando Miyamoto è stato insignito del British Academy of Film and Television Arts Fellowship.
Ad esser sinceri, Miyamoto è un esempio di umiltà e dedizione, un game maker visionario che si è autoimposto di ricevere lo stesso stipendio dei suoi colleghi, senza facilitazioni di sorta. Il commento di Miyamoto rappresenta un atto di dissenso in un dibattito che ha infiammato l’industria dei videogiochi sin dai suoi primi anni di vita. Dalla campagna pubblicitaria dell’etichetta Electronic Arts che nel 1982 chiedeva al mondo: “Può un computer farti piangere?” ( e molti piansero al triste finale dell’avventura testuale sci-fi intitolata Planetfall della Infocom 1983) fino alla celebre dichiarazione di Rober Ebert del 2005 che rispondeva: “i videogiochi non potranno mai essere arte”, il merito artistico dei videogiochi ha tenuto banco tra professionisti, esperti del settore e semplici amanti dei videogiochi.
Eppure come abbiamo avuto modo di vedere nel corso della mostra New York Minute, tenutasi lo scorso anno al Macro di Roma, moti artisti della scena della grande mela si sono riappropriati dell’estetica e dell’immaginario videoludico, alcuni Supermario rielaborati ed altri personaggi pieni di pixel (sprite come si dige in gergo) spuntavano ogni tanto all’interno di opere e videoproiezioni.
Anche artisti concettuali come Cory Archangel e Mark Essen strizzano l’occhio ai videogiochi. Inutile aggiungere poi lo scenario delle Bbs degli anni 80/90 con il corollario di Ascii art e le presentazioni dei hackers che inserivano grafiche accattivanti all’interno di giochini piratati, sempre nello stesso periodo. Il sottobosco dell’arte videoludica deve essere ancora scoperto e non è escluso che nei prossimi anni queste manifestazioni spontanee ma decisamente visionarie riescano a guadagnarsi un posto all’interno della scena dell’arte contemporanea.