In puro stile seicentesco, la grande wunderkammer di Sergio Zavattieri e’ ad oggi satura di mirabilia, dalla sezione naturalia con le anomalie del ciclo Bòtanica, passando per la sezione artificialia del piu’ recente ciclo sugli avvistamenti UFO, sino ai preziosi reperti di The ancient romans.
Ad accogliere lo spettatore dal 24 aprile alla galleria Zelle Arte Contemporanea di Palermo, un vecchio tavolo, uno sgabello, un paio di guanti, una luce calda dritta sul tavolo, 9 ritratti di personaggi celebri, o presunti tali, d’epoca romana, scattati nel 2000 al Museo della Civiltà Romana di Roma, editati e stampati solamente nel 2009 attraverso un processo di simulazione dei toni originali della stampa cyanotype, tecnica scoperta dallo scienziato e astronomo inglese John Herschel nel 1842. The ancient romans e’ una profonda riflessione sulla natura del ritratto, ed in modo particolare sull’introduzione dell’espressione individuale di una determinata fisionomia a scapito di quella serrata unità e simmetria che regge ogni parte del corpo umano. II ritratto realistico, il cui sviluppo giunge a compimento proprio in età romana, altera la spiritualità, opponendosi a quelli che furono i canoni fondamentali dell’arte greca sino alla metà del V secolo, quando l’espressione fisionomica individuale non aveva alcun diritto di cittadinanza artistica.
La volontà, e non la capacità, di attribuire ai ritratti una marcata caratterizzazione attraversa un processo che dal deforme, da tutti quegli aspetti considerati grotteschi ed abnormi tipici della maschera apotropaíca, giunge all’individuale. Un riuscitissimo attentato ordito ai danni dell’unità stilistica. Quella che fino ad allora era una stringatissima e logica necessità di linguaggio, muta cosi’ da organismo vivente a mero elemento iconografico tradizionale, una -locuzione fissa- da usarsi come certi schemi della decorazione architettonica, e senza memoria della sua origine. Un improbabile scollamento tra l’astrattezza del corpo nudo impersonale e il realismo fisionomico della testa.
L’esigenza dell’uomo di ricordare e far ricordare sposa la violenza del tempo, in un gioco che moltiplica la rappresentazione affrancandola dal dato biografico, identitario, divenendo pura compulsiva fascinazione per l’archiviazione di -immagini cartolina- capaci di falsare la storia. Una storia che Zavattieri ricostruisce attraverso documenti che, in modo del tutto fallimentare, si mimetizzano trasformando il tempo in pura astrazione.