Ai direttori e curatori dei musei piace molto parlare di donazioni ed opere regalate da fondazioni e ricchi benefattori. Una statua di Jeff Koons, un video di Matthew Barney, una foto di Erwin Olaf o magari una bella installazione di Tracey Emin e sono tutti più contenti. L’artista sorride perché guadagna qualche quotazione in più grazie al piazzamento delle sue opere in un luogo istituzionale, il museo è invece ancor più gaio poiché accresce la sua già ben fornita collezione.
Eppure non tutte le donazioni sono ben accette ed anzi, il curatore o il direttore del museo deve a volte rispondere allo sgradito regalo con un bel “no, grazie”. La maggior parte delle istituzioni museali acquisisce il 90% delle loro collezioni sotto forma di donazioni ma non sono disposte ad accogliere tutto: a volte le opere non sono in linea con il museo, a volte sono in brutte condizioni o di pessima qualità, altre ancora le opere sono dei semplici duplicati di altre già presenti in collezione. Il Virginia Museum Of Fine Arts ad esempio rifiuta un terzo dei regali che gli vengono gentilmente offerti ed il Houston Museum of Fine Arts accetta un dono ogni 10. Ovviamente anche (e soprattutto) in Italia gallerie, artisti e collezionisti mirano sempre a piazzare le loro opere in un museo, va bene anche un museo qualunque, magari posizionato nel più recondito angolo della Brianza o nel più sperduto angolo del Gargano.
Ci si affanna per piazzare un video, un’installazione o un light box in istituzioni dai nomi improbabili e puntualmente onomatopeici come Truc, Frip, Glup e quanto altro. I nostri musei non sono però così selettivi ed ogni artista del nostro panorama ha la sua bella operetta piazzata in un museo in modo tale da ampliare il curriculum, unico criterio di valutazione della propria creatività. Questa è la situazione in Italia, speriamo solo che il Maxxi non si riempia di opere del maestro Staccolanana o peggio del sommo Teomondo Scrofalo, a volte un cortese “no” può risolvere molti problemi .