Le stranezze della scena dell’arte contemporanea italiana continuano a tenere banco in una costellazione di gallerie e spazi sempre più votati alla ricerca del sensazionale e del diverso, anche a costo di rasentare l’incapibile assoluto. Di vizi e tic ne abbiamo descritti molti fra le nostre pagine dalla moda newyorchese di non appendere i dipinti al muro ma lasciarli appoggiati al suolo, passando per le birre dentro al secchio con ghiaccio da offrire ai vernissage e via dicendo. Vorremmo quindi in questo articolo elencarvi le nuove fissazioni dell’arte nostrana:
Un segno positivo, se non altro per il nostro povero e martoriato ambiente, arriva dalla tendenza a non stampare il catalogo di una mostra in galleria. Se prima il catalogo sembrava un must, da diverso tempo ormai agli eventi (anche in prestigiosi luoghi come Gagosian) circolano solo stringati testi fotocopiati: Meno carta ed un taglio a costi inutili visto che ormai il catalogo è una reminiscenza decisamente anacronistica che molto spesso trova una fine poco onorevole nel bidone della spazzatura.La scrivente organizza da diverso tempo, assieme al critico Alberto Dambruoso, i Martedì Critici, appuntamento indipendente aperto al dialogo con l’artista. Ebbene sembra che questa formula (tra l’altro non di nostra invenzione ma già in voga negli anni ’60 e ’70) sia divenuta la moda del momento. Ogni spazio che si rispetti ha infatti deciso di organizzare un bel talk con l’artista cosa che non può che farci piacere ma attenzione, far parlare gli artisti è sempre un’arma a doppio taglio, siete stati avvertiti.
Il dato più allarmante è un’insana passione anglofona che sembra imperversare in ogni dove. Ovviamente non è giusto rimaner chiusi e fermi nel nostro territorio ma quando ci si imbatte in mostre con talk in sola lingua inglese ed eventi dove appaiono video con dialoghi non sottotitolati in italiano (ricordiamo che festival di video britannici richiedono i sottotitoli in lingua inglese se si tratta di proiettare opere in lingua straniera) si rischia di precludere la corretta comprensione di un’opera o di un concetto. Si capisce che parlare l’inglese è cosa buona e giusta ma gli imperativi a noi non piacciono poi tanto.
Micol Di Veroli