Difficile tirare le somme, quantificare l’entità di presenze e vendite. Certo è che quest’anno la fiera d’arte contemporanea Roma, The Road to Contemporary Art è riuscita a zittire il brusio di polemiche (noi compresi) che si trascina dietro sin dalla prima edizione. L’edizione 2010 ha sancito l’ingresso di Roma nel mondo del contemporaneo, grazie ad una artweek impedibile che ha tenuto i presenzialisti costantemente in bilico tra Maxxi, Macro e fiera.
Forse vi starete chiedendo il perché di queste nostre lodi e di cotanto ottimismo, ebbene è presto detto: siamo ormai stufi di accampare stupide ed inconcludenti polemiche solo per il gusto di criticare il nostro sistema, ogni tanto bisogna apprezzare intenti e meccanismi ben riusciti, fermo restando che per arrivare al livello di altre fiere nazionali la strada è ancora lunga. In questo articolo andremo ad analizzare le caratteristiche salienti dell’attesissima kermesse romana.Location: Macro-Mattatoio e Pelanda hanno offerto una cornice unica, un esempio di archeologia industriale che ha fatto da contrappunto alle estrema contemporaneità delle opere presenti negli stand. La Pelanda in special modo ha raccolto gli entusiasmi del pubblico. Ottima la scelta del palco frontale con eventi vari e simpatica la location del bar all’interno degli ex recinti di contenimento per gli animali mentre all’esterno Ron English porta a termine il suo progetto concepito per l’Absolut Wall di Roma dal titolo X-Ray Guernica, una rivisitazione della celebre opera di Pablo Picasso
Logistica: L’allestimento della fiera ha messo in evidenza l’enorme sforzo compiuto per mettere in piedi stand e percorsi. Qualche passaggio un poco stretto e labirintico in Pelanda ma si tratta di inezie. L’unico vero problema è stato il caldo generato dai faretti che ha veramente infastidito tutti, magari un piccolo sistema di aria condizionata avrebbe giovato.
Gallerie: Molte opere di piccole dimensioni in giro, segno evidente che l’obiettivo principale è stato quello di vendere e farlo subito, invogliando anche i meno danarosi. Pezzi e prezzi per tutte le tasche e voglia di mettere molto in mostra (chi non mostra non vende dice l’antico adagio). Alla fin fine gli stand ammassati l’un sull’altro davano un’idea di familiare, di casalingo e questo non sempre è un bene.
Eventi collaterali in fiera e fuor: Pochi ma buoni, su tutti la sonorizzazione di Simone Pappalardo (prima) e quella di Tiziana Lo Conte e Cristiano Luciani (poi) e le funamboliche armonie di Mike Cooper. Grandi Mat Collishaw a Santo Spirito in Sassia e Cose Mai Viste di Abo al di fuori della fiera.
Vendite: Siamo al tasto dolente, difficile a dirsi come anticipato in precedenza. Qualche bollino rosso qua e la lo abbiamo pur visto ma per il resto nulla più. C’è da dire che non tutti espongono l’amato/odiato bollino. Pareri contrastanti anche perché molti collezionisti sono andati sul sicuro, ripiegando su nomi blasonati mentre le gallerie di ricerca hanno sofferto un poco di più. In fin dei conti chi non ha venduto molto ha comunque affermato di aver creato nuovi contatti (della serie consoliamoci).
Affluenza: Bene l’opening, un poco meno il giorno dopo ma con le inaugurazioni in giro c’era da aspettarselo. Molti galleristi hanno dichiarato di aver visto più gente durante l’opening di quest’anno che in tutti i giorni di fiera della precedente edizione. Il pubblico ha comunque risposto bene, siamo ancora un poco lontani dai grandissimi numeri ma bisogna apprezzare il tentativo di porsi oltre propri limiti.