Sono una sognatrice e quando mi trovo di fronte ad un’opera d’arte non posso fare a meno di chiedermi se me la terrei in casa quella cosa li. Lasciando perdere costi e spazi, vorrei vederla tutti i giorni per il resto della mia vita? Me lo domandavo anche all’inaugurazione della seconda personale dell’artista svedese Nathalie Djurberg da Giò Marconi a Milano.
La risposta è contenuta nel titolo di questo articolo, astenersi perditempo, ma soprattutto: soggetti deboli di cuore, di spirito (in tutte le sue accezioni), chi è vulnerabile, i facilmente impressionabili, i puritani e i bacchettoni. Astenersi un pò tutti, Nathalie fa arte per se stessa, sul tavolo della sua cucina a Berlino e poco importa se ha vinto un Leone d’Argento per il più promettente giovane artista della Mostra Fare Mondi all’ultima Biennale di Venezia. Importa ancor meno se mentre guardi uno dei suoi video ti vengono su, direttamente dallo stomaco, una raffica di domande, che vorresti fare proprio a lei, perché credi di aver capito qualcosa, ma hai bisogno della conferma.
Nathalie mi affascina con quel viso dolce contornato da capelli biondi, con quegli occhi vitrei, furbi e freddi assieme, che celano una fantasia sconfinata, un realismo agghiacciante.
La prima volta che vidi un suo video fu nel 2008 alla Whitechapel Art Gallery di Londra. Eravamo io e una giovane madre con carrozzina, sullo schermo si alternavano Nathalie Djurberg & Diego Perrone. Io e la giovane madre abbiamo fatto a gara a chi resistesse di più in sala. Ho vinto io solo perché lei aveva a cuore l’infanzia della figlia.
Da Giò Marconi ho osservato una Djurberg un pò opaca, senza quella carica emotiva che mi aveva rapita la prima volta. I due video, impietosi come sempre nel descrivere la condizione umana, sono un po’ faciloni. Rispettivamente: un uomo con un serpente incantatore e una donna con una rana velenosa ripresi (o meglio, modellati) in una specie di rituale spirituale. L’uomo, il serpente, il peccato, l’ascesi, il sesso, le sostanze allucinogene, i trip, i colori, Dio? Mah… Snakes know it’s Yoga recita il titolo della mostra, forse siamo noi che ci pensiamo troppo su.
Più intriganti le sculture-pupazzo: ingegnose, irriverenti, divertite e divertenti, macabre, rivoltanti e tenere assieme. Messe in teche trasparenti che le rendono asettiche, mostrano in modo distaccato una ricerca folle di spiritualità: sono santoni di religioni un pò inventate e un pò no alla ricerca di risposte. Tra il serio e il faceto, l’originalità dei tentativi di queste creature culla riflessioni ben più alte sulla nostra spiritualità. L’effetto però si perde nel multiplo, troppe sculture e poco spazio, ma i maliziosi hanno già detto: “Molti soldi in poco spazio.”
Mostra promossa, ma con riserva, io intanto non posso astenermi dal chiedere: “Ma se la Djurberg avesse un figlio, gli farebbe vedere i cartoni di Walt Disney oppure le proprie animazioni?”