Giovedì 24 giugno, presso il PAN| Palazzo delle Arti Napoli, in collaborazione con la galleria Changing Role – Move Over Gallery, inaugura la mostra SURFACE, personale del fotografo iraniano Arash Radpour.
A comporre l’esposizione, aperta al pubblico fino al 19 luglio 2010, una selezione di immagini nate dalla collaborazione tra il fotografo iraniano e FILM.IT dedicata al mondo del cinema e dell’intrattenimento. Il rapporto artistico tra Arash Radpour e FILM.IT nasce a settembre 2009 in occasione del Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e si rinnova ad ottobre dello stesso anno durante il Festival Internazionale del Film di Roma. FILM.IT, che si caratterizza per una presenza attiva in occasione degli appuntamenti più importanti del settore, invita Arash Radpour a raccontare il mondo del cinema e i suoi protagonisti.
Il risultato di questa raffinata indagine che svela la realtà interiore dei personaggi ritratti è stato presentato in anteprima a Milano nel mese di maggio in occasione del MIFF (Milano International Film Festival). La mostra di Napoli rappresenta quindi la seconda tappa di un itinerario espositivo che FILM.IT porterà attraverso il territorio nazionale in concomitanza delle principali mostre cinematografiche italiane, andando a toccare le città di Venezia a settembre, Roma a ottobre e per terminare a Torino nel mese di novembre durante l’omonimo Film Festival.
“Sono architetture di anatomie le fotografie di volti, corpi e anime di questa serie tagliente e poetica di Arash Radpour. La sua pratica fotografica è una scrittura codificata ricca di tecnica e di traduzioni d’innesti di realtà. Il meta-codice del mezzo tecnologico, la macchina fotografica, si snoda nel suo lavoro attraverso un accesso a più significati e su più crescenti livelli: focalizzazione dell’immagine, scelta del set scenografico attorno ad essa, ricerca di sguardi, taglio della posa del soggetto, accesso ai risvolti psicologici, scambi di ruoli, formalizzazione dell’opera. Radpour è un artista che indaga la natura e l’antropologia delle cose ponendo l’occhio dell’obiettivo in una posizione strabica che permette di svelare la realtà interiore attraverso la visione dei linguaggi dei corpi e delle loro posizioni.
La scala narrativa rivede il concetto di ciò che è represso e nascosto avvalendosi di un “modo” di scattare le fotografie che denota un segno intellettuale fortemente pensato, turbolento e paziente, ma con una traccia di relazioni come si trattasse di una stanza poetica o di un diario. La componente fondamentale del suo lavoro risiede nel concetto di “altro” come critica al concetto di identità.
I personaggi rappresentati fanno parte di un mondo patinato, fascinoso, estremamente trendy e per questo spinto al parossismo, idolatrato e mitizzato. L’obiettivo di Radpour sembra determinare un momento di sospensione, di sbalzo, di straniamento, di perdita, di rumore o di eccessivo silenzio in quelle vite: Terry Gilliam tiene gli occhi serrati, Tinto Brass stringe tra le labbra un sigaro quasi volesse violentarlo, Nicolas Cage espone la faccia attraente tra bianco e nero, Abel Ferrara si nasconde il volto tra le mani, Carlos Sura è riflessivo e meditabondo, George A. Romero frappone le dita tra gli occhi e i voluminosi occhiali”. (dal testo di Martina Cavallarin)