È uscito in Italia il 21 maggio il film La nostra vita di Daniele Luchetti, per la sceneggiatura di Sandro Petraglia, Stefano Rulli, e Daniele Luchetti. Nel cast, oltre ad una ennesima grande prova di Elio Germano vale la pena di nominare almeno Raoul Bova, Isabella Ragonese e Luca Zingaretti.
Il film, tanto visto e apprezzato a Cannes, mostra un’Italia purtroppo possibile e probabile… fatta di una moralità che si autodefinisce e si auto genera in base ai fatti della vita, attorno a dei personaggi che non sono affatto anaffettuosi, come un indagine del nostro paese e del malcostume dominante dovrebbe dimostrare. Il bisogno di soldi sostituisce i fallimenti sentimentali e personali, la famiglia e gli amici si stringono come possono e quando possono all’interno di dinamiche (quelle concrete, lavorative) in verità malate dominanti su tutto e tutti.
Il film lascia la tristezza in gola: una cruda semplicità e interpretazioni talvolta volutamente leggermente sopra le righe, rischiano quasi la ridondanza, che tuttavia potrebbe risultare parte dell’esasperante e insolubile conflitto del paese. Ci sono cantieri affidati su minacce, costruiti grazie a lavoratori in nero, morti nascoste, usurai, prestiti, favori, tutte purtroppo malamente conosciute dinamiche di lavoro italico. Ma ci sono anche affetti lenti e impacciati, emozioni inespresse, legami approssimati e pensieri di vuoto sostituiti (tentati) dai soldi o impacciati dalla timidezza, o dal bisogno.
Nulla di edificante attorno alla gente, piccola a indifesa, che prova solo a venirne fuori. Non potevano certo in conferenza lanciare un’osanna alla classe dirigente italiana… che questo abbia o no a che vedere con le sovvenzioni e con la cultura, lo ha con una coerenza del lavoro, con un quadro dell’italia, che io trovo quantomeno dipinto con coraggio… sopra le righe, si, ma non fuori dalle righe.