What is Waiting out there, cosa ci aspetta lì fuori è il titolo che la curatrice Kathrin Rhomberg ha scelto per la sesta edizione della Berlin Biennale for contemporary art, manifestazione in visione fino al prossimo 8 agosto. La storia delle passate edizioni ci insegna che la biennale tedesca è un evento decisamente rigoroso e composto anche se questa volta la curatrice ha tentato di sterzare verso lidi un poco più sperimentali mancando però il bersaglio a causa di una tematica troppo larga e dispersiva. Il titolo della biennale riporta alla mente una situazione di attesa ma anche di sospetto e di desiderio di scoperta, queste sono le emozioni che secondo Kathrin Rhomberg l’arte contemporanea del futuro dovrebbe generare nella mente del fruitore.
La curatrice ha quindi tentato di sottolineare ed evidenziare la realtà del presente in relazione ad un’ arte che riesce ad impossessarsene, producendo a sua volta nuove realtà. Le ambizioni della Rhomberg si scontrano però con una proposta artistica frammenta e fragile che si disperde totalmente all’interno del tessuto urbano. La manifestazione infatti, abbraccia l’intera città di Berlino, allargandosi su sei diverse sedi mentre la maggior parte delle opere sono concentrate al KW Institute nel distretto Mitte dove l’installazione di Petrit Halilaj domina l’intera location. Inoltre molte opere sono dislocate in un caratteristico quanto enigmatico edificio in attesa di ristrutturazione posto in Oranienplatz nel distretto di Kreuzberg. L’offerta artistica della Berlin Biennale è alquanto variegata, anche se sembra muoversi in un ambiente filosofico prettamente documentaristico. Ad esempio il nuovo lavoro di Phil Collins dal titolo marxism today (prologue) è un video che mostra le immagini di professori di filosofia marxista-leninista dell’ex Germania comunista i quali discutono su come adattare la propria vita in una Germania unificata.
Ruti Sela e Meaayan Amir hanno invece filmato alcune scene all’interno dei bagni di alcuni bar israeliani, rivelando parti del corpo e momenti di vanità assoluta. Hans Schabus ha ammassato tappeti usati provenienti da appartamenti del luogo. Su tutti troneggia una enigmatica ed oscura Zone (Zona) creata da Roman Ondak che proprio come quella del film Stalker di Andrej Tarkovskij, traghetta lo spettatore in un luogo misterioso proprio come la realtà del futuro.