“Io vi amo,
vi amo ma vi sputo però,
vi amo tutti,
è bello è brutto è solo questo.
L’erba, ti fa male se la fumi senza stile!”
Finisce così la canzone dei Baustelle, Un romantico a Milano, e in questa storia ci sta pure l’erba…o comunque ci starebbe bene. Perché questa è una storia senza tempo, che però si è svolta pochi giorni fa, di un incantesimo a cui mancava l’ingrediente chiave. Fin da quando sono piccola i miei genitori si lamentavano perché avevo qualcosa da ridire in ogni occasione, questo non c’entra con quello che vi sto per raccontare, ma se vi unirete al coro, non ve ne farò una colpa.
C’era una volta, nella città di Milano, un luogo fatato chiamato Hangar Bicocca. Il problema era che nessuno che ci sapeva arrivare, e quindi alla fine nessuno ci andava. Questo, in sintesi, il rapporto che ho sempre avuto con l’Hangar. Un posto conosciuto, riconosciuto, con proposte allettanti, ma fondamentalmente richiedente uno sforzo per raggiungerlo inversamente proporzionale alla facilità di restare infossata nel divano (io nemmeno ce l’ho un divano, ma ci siamo capiti). La prima volta che ho visto l’installazione permanente di Anselm Kiefer, I sette palazzi celesti, mi sono pentita amaramente di non aver fatto lo sforzo prima. Nel mio personale percorso di pentimento non potevo dunque perdermi la riapertura al pubblico di questo spazio post industriale convertito all’arte contemporanea.
Il fascino dell’edificio è indubbio e d’ora in avanti lo sforzo per arrivare all’Hangar sarà ricompensato con una sosta rifocillante al nuovo HB Bistrot, oppure da un acquisto colto nel nuovo angolo HBArt Book, la libreria d’arte gestita da un vero libraio. Insomma migliorie tecniche per rendere la visita all’Hangar un’esperienza a 360°, di cultura e piacere assieme, che non guasta mai.
Ma quello che conta è l’arte, e così, appena arrivati, all’ingresso ci accoglie Fausto Melotti (1901-1986) con la monumentale opera La sequenza. Enormi lastre di ferro rettangolari che coprono l’edificio retrostante e sembrano disegnare uno skyline futurista. Dentro ci sono torri di container, fuori c’è una porta di metallo arrugginito, a voi le conclusioni.
Senza nulla togliere al video su tre schermi di Carlos Casas, End, pluripremiato, definito “un requiem visivo per le terre estreme” e frutto della collaborazione di Chiara Bertola con Andrea Lissoni, per la curatela delle attività nel campo di New Media, Cinema e Musica. Un video, anzi, dei video, decisamente intensi, malinconici e melodrammatici nella loro pulizia formale, con una colonna sonora predominante e stridente, che raccontano in maniera minuziosa di un confine, quello tra uomo e natura, tra sopravvivenza e morte. Le immagini non sono un qualcosa di posticcio, ma sono vissute in prima persona dall’artista, Casas infatti si trasferisce a vivere nei luoghi in cui registra. Per quei cinquanta minuti di opera finale, filma per 3 anni, luoghi, persone, situazioni che ormai sono un tutt’uno con la sua solitudine, i suoi luoghi, le sue sensazioni, e arrivano a noi così: puliti.
Senza nulla togliere, appunto, a Carlos Casas la vera star della riapertura è però Christian Boltanski. Il pacioso artista francese, dai lineamenti e dalla flemma stile Braccobaldo, ha adattato agli spazi dell’Hangar l’installazione Personnes, creata per la prima volta per Monumenta 2010 al Grand Palais di Parigi ed in seguito riproposta all’Armory di New York.
Un segno forte di internazionalità e già solo il pensiero di questi legami è una boccata d’aria fresca. Nella versione nostrana, Boltanski, influenzato dalla presenza forte delle torri di Kiefer e forse anche dal carattere italiano, ha deciso di enfatizzarne l’aspetto drammatico: lo spettatore diventa partecipe di una pièce teatrale totalizzante il cui messaggio finale, molto velatamente è: “Attento, che magari domani ti risvegli freddo.”
L’elemento di sorpresa è il sottofondo musicale: i battiti di cuore registrati per il progetto Les Archives du coeur sono musica dei cieli.
Aspettando di tornare fin la solo per regalare il mio battito a Boltanski (e poi si può comprare il cd con suono del proprio cuore, sono in estasi al solo pensiero) vi dirò come finisce la nostra storia. Chiara Bertola, direttrice artistica dell’Hangar Bicocca, ha aperto la conferenza stampa dicendo che il lavoro compiuto finora era un miracolo a Milano.
Io dico che il miracolo è ancora da compiere e solo il tempo potrà dirci se è riuscito, perché, come cantano i Baustelle, Milano ed il contemporaneo sono così:
“Io vi amo,
vi amo ma vi sputo però,
vi amo tutti,
è bello è brutto è solo questo.
L’erba, ti fa male se la fumi senza stile!”
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