Dalla seconda metà del Novecento l’arte figurativa, come quella che più fortemente esprime l’impulso umano a creare, non e’ soltanto uno dei possibili, ma il solo processo possibile per riconoscere, nel conflitto storico della società, la prevalenza delle forze creative sulle distruttive.
Non vale risalire alle origini, ricercare la spontaneità, la naturalità, l’originalità di quell’impulso: il problema non e’ in una preistoria che coinvolge miti remoti ed antichi complessi che possono riemergere al livello del precedente, ma nella storia della memoria e della creatività, che apre, nella riflessione del Nietzsche de La gaia scienza, al profondo e attuale tema di arte e verità. Come documenta questa XLIII edizione del Premio Vasto opportunamente intitolata Memoria e creatività. I mille occhi della Sfinge, che raccoglie una cinquantina di artisti italiani e stranieri (tra cui opere di Emilio Vedova e di Jean Michel Basquiat, di Ennio Calabria e di Hans Hartung, di Alberto Sughi e di Herman Nitsch, di Mimmo Paladino e di A.R. Penck, di Umberto Mastroianni e di Andre’ Masson), in se’ il processo artistico non ha direzione ne’ scopo, non muove da alcuna premessa. Esso e’ tout court un modo di essere, di vivere con maggiore intensità. Secondo Floriano De Santi, curatore della rassegna, poiche’ da sempre e’ un modo di essere con particolare interesse per tutto cio’ che nel mondo e’ apparenza, quel processo non e’ che un modo di visualizzare il nostro -tempo interno-.
Quel processo – sostiene a ragione Baudelaire – non solo registra i battiti del Mon coeur mis à nu, ma provoca nei pittori e negli scultori la deformazione che la sembianza subisce nel ritmo del tempo; e intanto la provoca in quanto quel processo e’ lotta di impulsi positivi o creativi contro impulsi negativi o distruttivi. Sicche’, l’artista d’oggi non puo’ isolarsi, contemplare, giudicare: cio’ che accade nel suo tempo interno, e che il processo estetico visualizza, e’ anche cio’ che accade in una società storica, dalla quale non puo’ distinguersi e delle cui responsabilità interamente partecipa. È il tratto che fa sia della -memoria involontaria- di Proust che della -creatività notturna- di Kafka una scrittura estrema e al tempo stesso profetica della vita moderna.
Lontana da un sistema di connessioni significative, la ricerca visiva dell’ultimo mezzo secolo qui presente nei testi degli autori di piu’ consolidata carriera (quelli già menzionati, ma potremmo ancora aggiungere Fernandez Pierre Arman e Giuseppe Guerreschi, Sebastian Matta Echaurren e Renzo Vespignani, Georges Mathieu e Giuseppe Zigaina, Rainer Fetting e Mario Schifano, Peter Phillips e Gianni Dova), accetta l’esperienza della caducità, della transitorietà, della precarietà del -tempo della crisi-. In modi diversi, per questi artisti, l’eikon, la figura e’ il movimento stesso di un -altro pensiero-, rispetto a quello della cultura classica, di un pensiero che transita attraverso un regno intermedio, che tiene insieme due -mezze verità-: la massima astrazione del concetto e la massima forza di cio’ che e’ stato via via definito, mito, analogia, metafora. Le immagini della mente, le immagini cruciali del moderno, si aggregano in costellazioni, ma si trasformano solo diventando linguaggio di memorie connesse a un destino e a una storia collettiva.
Per dirla con il filosofo Michel Foucault, se lo spazio della dispersione del moderno, anche nelle sue differenze e propaggini estreme appare segnato dall’assenza d’un fondamento, cosi’ morale come estetico, il linguaggio che l’assume non ne celebra la banalità e l’autodissimulazione, puntando invece ad un’esplicita epicità della techne sotto le vesti di battaglia e di conflitto. Ne’ la crisi esprime unicamente un’idea di nichilismo e distruzione, premendo invece – come avviene, per altro, nelle opere di artisti meno conosciuti ma di singolare spessore creativo quali David Salle e Lilian Rita Callegari, Donald Baechler e Mario Moretti, Renata Rampazzi e Vanessa Beecroft, Martha Belbusti e Fabrizio Sclocchini, Elena Sevi e Ruggero Savinio – verso l’inizio di profonde perturbazioni emotive, portatrici di svolta che garantisce la corrispondenza tra significante e significato, tra segno e realtà. Nei loro lavori l’arte e’ tensione aperta verso il futuro e il mutamento, di questi ultimi motore e direzione.