Dopo il grande successo ottenuto a Palazzo della Ragione di Milano, con oltre 38.000 visitatori, l’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti – Palazzo Cavalli Franchetti di Venezia ospita, dal 28 agosto al 14 novembre 2010 la mostra che presenta duecento fotografie, molte delle quali stampate dai negativi originali, realizzate da Stanley Kubrick dal 1945 al 1950 quando, a soli 17 anni, venne assunto dalla rivista americana Look.
L’iniziativa s’inaugura in contemporanea con l’apertura della 67^ edizione della Mostra Internazionale del Cinema che, nel 1997, premiò Kubrick con il Leone d’oro alla carriera. L’esposizione, curata da Rainer Crone, realizzata da Giunti Arte Mostre Musei, in collaborazione con la Library of Congress di Washington e il Museum of the City of New York – che custodiscono un patrimonio ancora sconosciuto di oltre 20.000 negativi di Stanley Kubrick, giovanissimo, ma già grande fotografo – testimonierà la sua capacità di documentare la vita quotidiana dell’America dell’immediato dopoguerra, attraverso le inquadrature fulminanti e ironiche nella New York che si apprestava a diventare la nuova capitale mondiale, o l’epopea dei musicisti dixieland o degli artisti circensi.La mostra indagherà un aspetto finora poco conosciuto della carriera del regista americano, rivelando il suo modo di fare fotografia, una delle passioni che Kubrick, ancora minorenne, ereditò dal padre (l’altra sono gli scacchi), ma che si esaurì nel breve volgere di un quinquennio.
La prima fotografia viene pubblicata il 26 giugno 1945 e ritrae un edicolante affranto per la morte di Roosevelt, un’immagine che affascinerà cosi tanto gli editors di Look da offrire al fotografo dilettante la possibilità di entrare nello staff della rivista come fotoreporter.
Il metodo Look, che era caratterizzato da una narrazione a episodi, non incontrava il gradimento dei più importanti fotogiornalisti. I responsabili della rivista volevano che il soggetto fosse seguito costantemente, che venisse fotografato in tutto ciò che faceva. Questo stile invadente esercitava un grande fascino su Kubrick al quale piaceva creare delle storie partendo proprio da quelle foto. Per ottenere dai personaggi delle pose che fossero più naturali possibili, Kubrick metteva in atto una serie di stratagemmi per passare inosservato. Uno di questi consisteva nel nascondere il cavo della macchina fotografica sotto la manica della giacca e nell’azionare l’otturatore con un interruttore nascosto nel palmo della mano. Negli interni cercava di sfruttare il più possibile la luce naturale agendo opportunamente sul tempo di esposizione e sull’apertura del diaframma. Gran parte del senso estetico che ritroviamo nei suoi film veniva già espresso dal suo lavoro di questi anni. Anche ricorrendo a tecniche e punti di vista particolari e mantenendo sempre un certo distacco riesce a far trapelare l’aspetto psicologico dei soggetti ritratti, permettendo così all’osservatore delle foto di costruire una personale interpretazione del carattere delle persone riprese.
“Nascono così le prime fotografie di Stanley Kubrick, realizzate nell’America dell’immediato dopoguerra, che sorprendono poiché non si limitano alla rappresentazione di un’epoca, come ci si potrebbe aspettare da un fotoreporter. Le sue istantanee infatti – sottolinea il curatore -, che stupiscono per la loro sorprendente maturità, non possono essere considerate come archivi visivi della gioia di vivere, catturata dallo spirito attento e pieno di humor di un giovane uomo, ma costituiscono un consapevole invito a confrontarsi con le risorse del mezzo fotografico, con le sue possibilità di rappresentazione e con la propria percezione della realtà: una costante dell’opera artistica di Kubrick che comincia con le fotografie e continua nei film”.
Un passaggio fondamentale, dunque, se si pensa che l’ambiguità dell’immagine e del cinema stesso sono al centro della riflessione che anima il cinema d’autore del secondo dopoguerra, per questo detto moderno e di cui Kubrick è stato uno degli indiscutibili maestri.
Il percorso espositivo, organizzato in otto sezioni, si svolgerà attraverso alcune delle storie che l’occhio dell’obiettivo di Kubrick ha immortalato, come Portogallo che racconterà il viaggio in terra lusitana di due americani nell’immediato dopoguerra, o ancora Crimini, che testimonierà l’arresto di due malviventi seguendo i movimenti dei poliziotti, le loro strategie, le loro furbizie, fino all’avvenuta cattura.
Betsy Furstenberg, protagonista della sezione a lei dedicata e che la rappresenta come il simbolo della vivace vita newyorkese di quegli anni, farà da contraltare alle vicende dei piccoli shoe shine, i lustrascarpe che si trovavano agli angoli delle strade di New York.
Inoltre, s’incontreranno le sezioni dedicate alla vita che si svolgeva all’interno della Columbia University, un luogo d’élite dove l’America formava la classe dirigente del futuro, e all’interno del Campus Mooseheart nell’Illinois, una residenza universitaria, costruita da benefattori, per educare figli orfani di guerra che sarebbero andati a ingrossare le fila della middle class americana, o ancora quelle che ritraggono l’epopea dei musicisti dixieland di New Orleans o il variegato mondo degli artisti del circo.
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