Essere femminista oggi fa tanto zitella inacidita. Una donna che abbia una relazione stabile e un buon rapporto col sesso opposto non può essere femminista, è uno di quei concetti demodé, un termine usato quasi con disprezzo: le femministe, quelle che non sanno come funziona il mondo, quelle attaccate agli anni Settanta e che in fondo sono solo gelose del culo alto delle veline. Eppure, anche se ho accettato la depilazione come unica via all’accettazione sociale, io resto femminista. È più forte di me.
“Nacqui il giorno di Natale, rovinando la festa a tutti quanti.” È forse possibile dunque che non mi innamori di una donna che pronuncia tali parole? Pura provocazione. La dichiarazione di Louise Bourgeois prosegue in modo assai più doloroso e mostra la stoffa di questa artista sorprendente: “Mentre erano intenti a gustare ostriche e champagne, ecco che arrivo io. Mi piantarono in asso. Oggi riesco a raffigurarmi quell’evento ridicolo…non accuso nessuno. E’ quindi un senso di sconfitta quello che motiva il mio lavoro, una volontà di rimediare al danno che è stato fatto…non di paura, ma del trauma dell’abbandono.”
Sarà anche il periodo storico, la Bourgeois nacque nel 1911 a Parigi, Freud diffondeva le teorie della psicoanalisi già da una decina d’anni, ma l’analisi personale e artistica che è riuscita a cucirsi addosso è di una limpidezza sorprendente. E se con le parole era brava a chiarire concetti, ancor di più con le opere, le quali, come giustamente sosteneva, dovrebbero parlare per sé. Nel ’38 si trasferì a New York e iniziò la sua carriera, dapprima come pittrice, ma ben presto passò alla scultura: “I disegni sono secondi alla scultura – affermò – perchè non hanno il potere di esorcizzare i demoni.”
La mostra che la celebra, inaugurata pochi giorni prima della sua morte, è un piccolo gioiello di femminilità. Curata da Germano Celant presso i Magazzini del Sale della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, presenta le recenti e quasi inedite opere in stoffa, Fabric Drawings appunto, realizzati dal 2002 al 2008, accanto a quattro grandi sculture.
L’allestimento è semplice, da un lato la stoffa, dall’altro materiali di ogni tipo dall’acciaio ai funghi, passando per il marmo e la pelliccia. Ammirando gli intrecci delicati dei tessuti divenuti quadri pensai che la sensibilità è femminile, la complessità è femminile, un certo tipo di cinismo è femminile, una certa attrazione per il grottesco, l’amore per la concretezza, la leggerezza a volte anche frivola. Questo e molto altro pensavo di fronte a quest’arte che non centra nulla col femminismo dei libri e dei movimenti, ma certamente femminista nel suo essere sensuale e fragile assieme.
La serie dei Fabric Drawings è realizzata usando i tessuti degli abiti di Louise e di sua madre, indirettamente raccontano storie di generazioni ed emerge la necessità di attingere dal passato, analizzarlo, sezionarlo e renderlo leggibile a se stessa prima di tutto. Il legame con la storia, soprattutto quella familiare, personale, è costante nella vita della Bourgeois che fin dall’età di dodici anni scrisse diari e appunti oggi raccolti nel libro “Distruzione del padre / Ricostruzione del padre – Scritti e interviste” a cura di Marie-Laure Bernadac e Hans-Ulrich Obrist, traduzione di Giuseppe Lucchesini e Marcella Majnoni, edito in Italia da Quodlibet.
Le sculture dal fascino inquieto, tra cui uno dei famosi ragni giganti, bilanciano la leggerezza ipnotica degli intrecci di tessuti e intrappolano lo spettatore in un sogno surreale. Una mostra da godere appieno, lentamente, che sbatte in faccia la forza del femminile e il suo essere, ancora oggi, che il femminismo non va di moda, martoriato, disilluso ma potente e irresistibile.