Magazzino di Roma inaugura martedì 28 settembre 2010 la nuova stagione espositiva con la mostra “Landscapes” / (confini in disordine) a cura di Lorenzo Bruni, negli spazi della galleria e contemporaneamente in un contesto inedito quale è la chiesa di San Filippino in via Giulia n.134. Landscapes / (confini in disordine) è la prima di due mostre che Lorenzo Bruni curerà per Magazzino, attorno al concetto di paesaggio; la seconda si svolgerà a settembre 2011. Le due collettive saranno poi raccolte in una pubblicazione finale.
Roberto Ago, Slater Bradley, Pavel Buchler, Fernando Sánchez Castillo, Sabina Grasso, Dmitry Gutov, Yuki Ichihashi, Jiri Kovanda, Anthony McCall, Ján Mančuška e Paolo Parisi sono artisti internazionali di differenti generazioni e provenienze culturali che presentano opere accomunate dalla stessa riflessione attorno al concetto di paesaggio. A questo tema, che appare quasi banale in un presente dominato dallo scambio continuo di immagini/messaggi (per cui “il lontano” appare sempre a portata di mano), gli artisti rispondono con opere che mettono in evidenza lo spazio occupato in quel momento dallo spettatore o l’istante temporale in cui è stata realizzata quella specifica immagine del mondo. In questo caso la parola paesaggio, in senso classico, risulta negata poiché viene “rappresentato” il tempo dell’esperienza di quel particolare reale e non la sua immagine. Non si tratta di immagini da osservare passivamente, ma da praticare mentalmente o fisicamente. Infatti, il paesaggio per questi artisti non può esistere come concetto astratto ma solo come relazione rispetto al volto di chi lo guarda.
Il paesaggio, come notava George Simmel all’inizio del secolo appena terminato, è quell’immagine che è separata dallo spazio abitato in quel momento dal suo spettatore. Quando l’osservatore raggiunge quel luogo, esso cessa di essere orizzonte, confine o limite, per farsi spazio. Il novecento, come descrive Rosalind Krauss riflettendo sull’idea di scultura, è il secolo in cui l’arte si è evoluta rompendo di volta in volta le codificazioni con cui la società riconosceva quel dato prodotto come arte. Questo percorso però è soprattutto caratterizzato dalla ricerca di far coincidere lo spazio dell’opera con lo spazio reale occupato dallo spettatore, due dimensioni di spazio che solitamente nell’esperienza dell’osservatore sono intercambiabili (questo è evidente con la pittura figurativa), ma mai compresenti. Proprio l’esigenza di questa compresenza ha portato a sperimentare altre tecniche espressive (l’astrazione geometrica prima, le performance e le installazioni poi). Oggi con la progressiva smaterializzazione del reale a cui abbiamo assistito nei decenni passati (gli oggetti per comunicare sono sempre più piccoli e determinano il messaggio) dobbiamo forse riflettere nuovamente sulle dinamiche tra spazio osservato e quello praticato.
Le opere in mostra indagano, anche se in modi differenti, il rapporto e la contraddizione che esiste tra come viene osservato un luogo, come viene percepito e come viene vissuto e percorso, e infine raccontato; introducendo così l’idea di una costruzione costante del paesaggio, in quanto identità collettiva, e la sua possibile progettazione.