Una fiera è come una battaglia tutti contro tutti: i galleristi che porelli devono pur campare, l’organizzazione che mica ci può fare brutta figura, i collezionisti che attendono l’affare e gli studenti delle accademie che criticano ad alta voce per non pensare a quello che li aspetta finiti gli studi. È un campo di battaglia spassoso e interessante per chi, come me, può osservarlo da fuori., ma anche molto faticoso.
Così tra il dire: “Torino-Milano? Si fa in giornata” e il tornare a casa la sera sotto la pioggia novembrina ci stanno un po’ di maledizioni e dolori alla schiena e occhi stanchi. Che vanno poi ad accumularsi agli improperi che sto tirando mentre cerco di far tornare i conti tra foto scattate, cartella stampa su cd in cui mancano metà gallerie e gli inutili fogli che hanno riempito il catalogo fai-da-te. (Non per far la criticona, ma metterci due informazioni in più? Almeno una foto per artista! E poi quel raccoglitore, tanto caruccio, ma enorme e scomodissimo da tenere in mano). Quello che segue, dunque, sarà uno sconclusionato cercare di far tornare conti che non tornano e pensieri che non stanno in riga.Artissima17 si è presentata ricca di iniziative e pronta a combattere per dimostrare che Manacorda è l’uomo giusto per gestire il tutto, e un pomeriggio è poco per poterla valutare approfonditamente. Sinceramente, ci tengo a dirlo subito, il parere complessivo sulla fiera è positivo, anche a fronte dei tagli di budget che hanno saputo ben mascherare. L’unica vera pecca era la raggiungibilità del luogo. Un bus speciale che porta all’Oval non sarebbe male, ma il discorso mezzi mancanti è riscontrabile quasi sempre quando si tratta di fiere. La location, inoltre, era un po’ sottodimensionata: nei corridoi strettini si generava il caos appena due o tre persone sostavano nei passaggi. Inoltre la gestione con due poli: da un lato le istituzioni e all’estremità opposta “La casa delle contaminazioni”; ha semplificato l’orientamento, ma di fatto è stato sprecato molto spazio. Ultima doverosa considerazione spaziale: il flop della sezione “Present Future” che è stata divisa dal resto, rendendola inaccessibile e illeggibile. Si passava da uno spazio all’altro senza capire la galleria di riferimento ne tanto meno vedendo opere degne di nota.
Non smentirò invece le prime voci critiche riguardo la Fiera che hanno indicato fin da subito la sezione “Back to the future” come la più interessante. Non saprei dire se semplicemente l’offerta è stata curata meglio, o se il fatto di presentare artisti attivi negli anni ’60 e ’70 in qualche modo scardina la difficoltà di lettura del nuovo. Di certo è più appassionante un booth monografico, che permette di leggere l’artista da diverse prospettive e non affatica gli occhi (e la mente) con eccessivi stimoli visivi.
Mi ha letteralmente rapita il muro di polaroid di Birgit Jürgenssen portate da Hubert Wienter. L’artista viennese gioca con serietà con la metamorfosi, Freud, il femminismo e il surrealismo. È irriverente e fragile assieme. Di fronte invece si trovava Patricia Dorfmann che ha portato in fiera Micheal Journiac. Fondatore della Body art nelle sue opere trasmette un sofferenza interiore, la tematica principale è quella del corpo vestito e della maschera imposta, ma affronta il tutto con ironia pungente. È affascinante come questi lavori siano assolutamente attuali, anche più di quelli di giovani artisti. Così come attuali sono i buffi disegni su tela bianca di Gianfranco Barucchello (Galerie Michael Janssen), una sorta di libretto di istruzioni beffardo per affrontare i mali dei nostri giorni. Nicoletta Rusconi invece porta Franco Guerzoni: immagini molto quotidiane frammentate da oggetti solidi, una stratificazione di significati su tutti i fronti. Ultima menzione per Back to the future per McCaffrey Fine Art perchè la leggerezza con cui il giapponese Koji Enokura riesce ad utilizzare il mezzo fotografico e la gravita, al contempo, dei suoi contenuti, è qualcosa di unico.
Nella Main section si naviga a vista invece. Pochi stand convincenti, molto più facile scorgere un opera meritevole in mezzo alle altre e questo anche perchè mi sembra sempre più che il booth non venga curato, ma utilizzato più che altro come espositore. D’altronde non si può pretendere di inserire sei artisti in un rettangolo cinque per sei e poi stupirsi dell’effetto stridente -e questa non vuol essere una frecciatina, ma un dato di fatto.
Così, in ordine sparso, vi do qualche nome. Le opere di Jan Håfström che riempivano dal pavimento al soffitto lo stand di Brändström & Fruit and Fower Deli hanno attirato molta attenzione con il loro stile fumettistico dark. Di sicuro impatto le sculture da muro di Olaf Metzel per Gentili.
Notevole per grazia e puntualità il trittico di Jannis Kounellis sul treno, tema del nuovo progetto di Ram- Radioartemobile. Sandra Vasquez de la Hora disegna figure misteriose ed inquietanti, da Sprovieri la allestiscono accostando i fogli come fossero tasselli di una storia. Raucci/Santamaria invece appoggia i quadri di Danilo Correale alla rifusa sul pavimento, le stampe del giovane napoletano sembrano sfumature, ma se guardi bene ne emergono soggetti e significati. Diversi i nomi interessanti da Parra&Romero: Amaya Gonzàles Reyes pungente con il suo skyline fatto con viti dorate, mentre Diego Santomè gioca con la ripetizione.
Se ogni fiera ha le sue mode in questa ho notato una prevalenza di vetri, meglio se rotti e tante, tantissime, troppe fotografie. Fotografie che nella maggior parte dei casi erano indistinguibili le une dalle altre, certo non parlo di Sissi con i suoi tavoli imbanditi. Ricerca interessante, per esempio, quella della galleria Maureen Paley con Sarah Jones, poetica e delicata, e James Welling, algido e drammatico.
Vince la medaglia di miglior stand, come allestimento, ma anche come proposta, una new entry: Conduits di Milano. Nel loro angolino, quatte quatte, Eva Kotatkova e Ludovica Carbotta intrecciano la loro arte tra installazioni a muro, la Kotatkova, e sculture, Carbotta, con un ritmo e una delicatezza tutte femminili. Un mix che non stanca, anzi intriga. Un diario segreto spiattellato senza ritegno.
Resta un mistero: la Pilar Corrias Gallery. Nel cd col materiale stampa non c’è, il sito internet non è accessibile. Però, raffrontando la lista degli artisti e le mie fotografie, risulta suo Philippe Parreno con acquarelli in rosso vermiglio inquietanti e mini sculture da presa elettrica. E Rirkrit Tiravanija che ha disegnato sulle custodie bianche dei vinili immagini di rivolta sociale e attualità. Julião Sarmento, la portoghese che dipinge la situazione femminile con disarmante e divertito cinismo.
Concludendo e dando per scontato di aver dimenticato qualcuno degno di nota: è stato un pomeriggio intenso e denso. Adesso non ci resta che riflettere sulla lezione di successo della sezione “Back to the future” e sul fatto che non sempre il nuovo pare tale.