Il prossimo 8 gennaio La Galleria Muratcentoventidue di Bari prosegue il suo programma espositivo con Evaporazione di segni mostra personale di Elena Arzuffi, a cura di Antonella Marino. L’artista , conosciuta e apprezzata dagli addetti ai lavori, presenta un’ambientazione, una serie di foto e alcuni video. Di lei così scrive la curatrice: Fragilità, intimità, densità, fluidità, impotenza, quotidianità, esilio, silenzio, semplificazione, evaporazione…Il piccolo decalogo può forse aiutarci ad entrare, suggerendo un’ atmosfera, nel delicato universo poetico di Elena Arzuffi. Un universo denso appunto, insieme sottilissimo e complesso, che si dà per tracce, indizi, domande aperte rivolte allo spettatore.
E che miscela con abilità disegno, fotografia e video-animazioni in cui un raffinato tratto grafico si fonde a prelievi dal reale. Questo spessore sfaccettato è evidente nella duplice installazione alla galleria Muratcentoventidue. Qui l’artista di origine bergamasca ( vive a Milano) rilegge alcuni suoi lavori recenti conferendo loro nuova significazione. Così nella prima sala siamo accolti da un rimando di immagini stranianti: nitide foto di una bimba che cerca di imparare a volare su una sedia, insieme a banali oggetti casalinghi… Paragrafi di una quotidianità sospesa, così come le sincopate sequenze che scorrono con levità su un monitor. Nella seconda stanza troviamo invece un’ enigmatica ambientazione domestica. Una poltrona, un televisore sintonizzato su canali meteo, dei giornali, alcune immagini foto-grafiche e video di brumose passeggiate solitarie, ci mostrano un’assenza che allude ad una presenza: quella di un uomo chiuso su se stesso, ossessionato dalle previsioni del tempo, che vive solo con il suo cane. Tocca a noi dunque ricomporre questi indizi sparsi, tirare il filo di un discorso che affronta i temi del disagio del vivere, la difficoltà di comunicare, il senso afasico di vuoto, partendo da proprie inquietudini e fragilità per parlare a tutti, o perlomeno a molti.
Partecipe della caduta epocale delle grandi narrazioni, la Arzuffi attinge infatti ad una sfera di emozioni, esperienze, idiosincrasie private, servendosi di allusioni, sguardi laterali, inquadrature spesso sfocate o frammentate, che richiamano un orizzonte di pensiero e una temperatura psicologica molto più ampi. E lo fa scegliendo come cifra stilistica ma anche etica “il potenziale critico della leggerezza”. Consapevole, come precisa sulle orme di Calvino Luca Cerizza ( nel recentissimo L’uccello e la piuma, et al ed, 2010) che “la leggerezza non è questione di evasione e disimpegno, quanto di percezione e densità: è la capacità di fare il massimo con il minimo… di rivelare la complessità del mondo con l’invenzione più sintetica”. Ed insieme, come rivela l’intensità rarefatta del percorso di Elena Arzuffi, forma di resistenza all’ingolfo segnico ingannevole e superficiale dell’immaginario mediatico.