La galleria Monitor di Roma inaugura il 5 febbraio, a distanza di due anni dal suo esordio, la seconda personale in Italia di Ian Tweedy. Il nuovo progetto del giovane artista americano, interamente studiato per le grandi sale della galleria quasi trasformate in spazi dall’impronta museale, vede pitture, elementi scultorei, paramenti murali intraprendere un gioco di sovrapposizioni, relazioni e sinergie dialogando tra loro in quello che è il risultato del processo evolutivo della ricerca di Tweedy negli ultimi due anni.
Due stanze, due temi. Nella prima, interamente dipinta di un verde sottilmente virato di grigio, l’artista indaga tematiche relative all’accrescimento, alla sublimazione, al processo di innalzamento che si muove dal suolo al cielo, passando attraverso tracce, sgocciolamenti, ombre, sfumature, nella stratificazione che avviene tra uno strato di colore e l’altro. Vecchi libri, piccoli trofei di volo, persino una sorta di strano autoritratto quasi intagliato nel sughero vengono interamente coperti di colore, trasformandosi in vere e proprie pallette, simbolo del lavoro manuale, fisico, dell’artista.
I dipinti presenti in questa sala sembrano quasi essere stati realizzati da artisti diversi. Forse perché essi si trovano a sovrapporsi ad immagini realizzate da altri (quasi dei reinterpretati objet trouvé) stabilendo con esse una sorta di coabitazione e coesistenza.
Quella che Tweedy mette in atto è qui la rappresentazione dello studio dell’artista in cui idee, colori, desideri e fallimenti si sovrappongono fino a fondersi in un’unica anima.
Nella seconda stanza, carica di un marrone asciutto e saturo, Tweedy investiga invece un altro tema a lui particolarmente caro, quello della decadenza, del passato e delle proprie radici. Simbolo di questo processo di decadimento, quasi di termine del ciclo stesso della vita, la torre dell’orologio, che diviene monumento ad una popolazione scomparsa e dimenticata. Lo sguardo del visitatore spazia in una scala di monocromie dove l’assenza del colore è accentuata dalla presenza di immagini dipinte sul retro di vecchie tele degli anni ’50 trovate da Tweedy. Si tratta di oggetti scuri, polverosi, fragili e duri allo stesso tempo. Le stesse immagini scelte dall’artista per questo ambiente sono infatti drammatiche, tragiche e classiche al tempo stesso. Lo sguardo dell’osservatore è distratto da piccoli e preziosi elementi scultorei, reperti della grande guerra in cui vengono incastonate pallottole e raffinatissimi disegni di nudi femminili, in cui si intravede in un gioco di trasparenti parzialità, una chioma, una spalla, guance e mani. Si tratta di piccoli monumenti all’idea di perdita e desiderio, dedicati a quelle donne che hanno ricoperto un ruolo fondamentale a tutte le “resistenze” nella Storia.
Da sempre interessato al concetto di Origine, Ian Tweedy si interroga sulla potenza e sul valore di comunicazione di ciò che rimarrà della società occidentale. Tweedy crea ed inserisce il proprio gap nella Storia, creando una sorta di difetto, mettendo in relazione il suo mondo di artista e creatore di immagini con quello di un ipotetico passato, realizzando i propri relitti personali, le proprie macchine del tempo che guardano ad un futuro scuro e lontano quasi ad esorcizzarne l’azione e a preservarne l’esistenza.