Galleria Continua di San Gimignano il 12 febbraio inaugura The Other Side of the Mirrow, la nuova mostra personale dell’artista egiziano Moataz Nasr. Considerato tra i maggiori esponenti dell’arte pan-araba contemporanea, Moataz Nasr concepisce questa mostra come un vero e proprio viaggio filosofico e spirituale, invitandoci a meditare sul senso delle cose e del vivere insieme. Un canto corale, un inno alla compassione, come chiave di accesso alla conoscenza, come luce che illumina il percorso, e all’amore, come abolizione di frontiere e di pregiudizi; elementi questi che l’artista formalizza rielaborando le più diffuse icone del mondo islamico fino a trasformarle in nuovi significanti estetici globali, astrazioni simboliche aperte a molteplici letture.
L’esposizione si sviluppa tra la platea, i balconi e il palcoscenico dell’ex cinema-teatro disegnando metaforicamente un percorso teso all’elevazione spirituale. The Other Side of the Mirrow è la video installazione che dà il titolo alla mostra. L’altro lato dello specchio è il mondo che l’artista ci invita ad esplorare. Uno spazio che crediamo inaccessibile soltanto perché non ci siamo dedicati a decifrarne il meccanismo. L’altro lato dello specchio è la matrice dell’uomo, è la volontà di riconoscere se stessi, è quella possibilità che utopie e sogni tengono viva, ma è anche una dimensione della mente che se era innata, una volta, nel bambino, è per l’uomo adulto qualcosa da recuperare solo dopo un percorso di riconoscimento nella propria coscienza.
Il pensiero del mistico filosofo e poeta sufi Ibn Arabi (1165-1240), punto d’incontro fra la cultura araba e cattolica, il Doctor Maximus per gli europei, Il sommo Maestro per gli islamici, ispira molte opere in mostra. Nell’opera EL Thaherwa El baten (The Manifest and the Un-manifest) l’artista utilizza 12 volte la forma araba della parola Elhob (amore) per creare due cerchi, il primo visibile, il secondo in ombra sull’altro, fra il bianco dell’anima e il nero del corpo. Si oppongono ai cerchi, le bestie, i 5 leoni della propaganda islamica realizzati con più di 35.000 fiammiferi su legno (Oxymoron, 2011), simboli della forza, della ferocia, della potenza e del potere ma anche rappresentazione delle nazioni arabe all’interno della storia del mondo e dell’energia di ogni singolo individuo.
L’amore, come simbolo universale, ritorna e prende forma anche in altre opere che compongono il percorso espositivo. Lo troviamo negli arazzi che Moataz Nasr realizza come simboli di compassione e bellezza, svetta sulle cime delle sue torri che rimandano alle architetture delle cinque grandi religioni, si disegna nella calligrafia araba delle sculture in alabastro e cristallo sospese sul palco.
Commentando l’esposizione il critico Simon Njami scrive: La base dell’installazione è ispirata da una memoria attraverso la quale noi ritroviamo la calligrafia, i miti, i segni magici e le rappresentazioni estetiche prodotte dal mondo arabo dalle diverse problematiche che si pongono agli umani. Al cuore di questo meccanismo, due elementi formano la pietra angolare della proposizione. Una costruzione ottagonale duplicata (il numero otto è magico) che potrà rappresentare un tempio profano all’interno del quale, come in un cuore vibrante, siamo invitati ad adattare il ritmo delle nostre pulsazioni al ritmo dell’ambiente, trasformazione che, sola, ci consentirà di accedere alla conoscenza e all’ecumenismo. E sulla scena, come un muro di parole, la frase di Ibn Arabi.
Nel grande neon verde che domina la platea l’artista proclama con forza l’adesione del suo cuore, ormai capace di assumere ogni forma, al pensiero di Ibn Arabi: la sua anima può essere un pascolo per le gazzelle, un convento per i monaci cristiani, un tempio per gli idoli, la Ka`ba per i pellegrini, la tavola della sapienza per gli ebrei, i l ‘libro’ per i mussulmani, ma una sola è la religione che egli ritiene di seguire: l’amore.
Lo spazio dove siamo progressivamente trasportati, prosegue Simon Njami nella sua analisi, è cabalistico… Come in una caccia al tesoro, noi passeggiamo in questo universo codificato, e che importa se non potremo accedere al completo disvelamento dei segni e degli emblemi che costellano il percorso… la ragione non è la chiave di questo viaggio, ma il sentimento. La coscienza di uno spazio che ci oltrepassa e che tiene a misurarci, fino a che tutte le vecchie idee che fin qui hanno rappresentato la nostra ragion d’essere, siano rimesse in questione e trasformate.