Roman Ondák (Zilina, Slovacchia, 1966) è il protagonista dell’appuntamento di apertura d’anno alla Galleria Civica di Trento, con Eclipse, sua prima mostra personale in un’istituzione pubblica italiana. Nelle sue opere Roman Ondak, artista tra i più importanti nella scena artistica internazionale contemporanea – nel 2009 ha rappresentato la Repubblica Slovacca alla 53° Biennale di Venezia – spesso interroga e reinventa le logiche dell’architettura e del luogo espositivo, esplorandone limiti e potenzialità.
Lo spazio della mostra diventa quindi esso stesso un’opera d’arte totale, in equilibrio fra dentro e fuori, realtà e immaginazione. L’esposizione è stata pensata dall’artista come una possibile retrospettiva sulle diverse fasi del suo percorso, presenti una serie di lavori inediti e un nuovo progetto espressamente pensato per lo spazio della Fondazione. La mostra alla Fondazione Galleria Civica è parte di un più ampio progetto che include le due mostre personali tenutesi nel 2010 presso Villa Arson, Centre National d’Art Contemporain, Nizza, e Salzburger Kunstverein, Salisburgo. Tutte e tre le mostre rappresentano un’articolata riflessione retrospettiva sulle diverse fasi della pratica artistica di Ondák dalle prime opere degli anni ’90 a oggi.
L’opera di Ondák consiste in un’analisi delle molteplici sfaccettature della vita quotidiana, nei suoi dettagli meno appariscenti e nei suoi aspetti più ordinari, di cui l’artista si appropria per ricontestualizzarli nel contesto artistico e farli emergere dallo sfondo indistinto a cui sembrerebbero destinati. Attraverso le sue sculture, installazioni, video e perfomance, l’artista mette in atto continui meccanismi di disorientamento del pubblico: l’artificio (o inganno) viene a volte assurdamente pronunciato, o evidenziato, in modo da attirare l’attenzione verso qualcosa o qualcuno che altrimenti rimarrebbe sconosciuto.
Alla Fondazione Galleria Civica, l’artista presenta un corpo di lavori inediti che formano poetici contrappunti fra l’architettura reale dello spazio espositivo e un’architettura immaginaria, evocata dall’artista attraverso opere che sono in grado di mimetizzarsi negli spazi espositivi, di percorrere l’architettura reale del museo come soglie che introducono a una dimensione più potenziale e ipotetica, fantastica e onirica.
Eclipse non è solo il capovolgimento del soffitto dello spazio espositivo, che invece di ergersi verso il cielo sprofonda verso la terra, ma anche un normale tetto, con camini e tegole: un’aporia architettonica tanto più ambigua quanto più realistica, in cui ciò che era alto si muta in basso, ciò che era esterno diventa interno, un luogo chiuso e concluso, un lascito archeologico all’interno di uno spazio museale contemporaneo. Un apice (al contrario) con cui culmina, in un tono giocoso che quasi trascolora nella favola, la ricerca di un varco fantastico all’interno dell’architettura reale del museo.