Inaugura oggi la mostra di Silvano Tessarollo per gli spazi dell’antico palazzo nobiliare Palumbo Fossati, sede della galleria veneziana, dove vengono presentati contemporaneamente la serie completa degli Interni e alcune installazioni che appartengono alla ricerca recente dall’artista.
Le quattro installazioni racchiuse nel ciclo Interni vanno dal 2009 al 2010 e sono delle vere e proprie sculture ambientali. Rappresentano appunto delle sequenze di oggetti domestici, oggetti comuni, banali, divani, lavandini, vasche da bagno ma costituiscono per la loro greve materialità delle forme di sedimentazione del tempo. Non sono oggetti nuovi, ma il colore, i sedimenti, le opacizzazioni vogliono trasmettere il senso della dimenticanza, dell’abbandono. Al contrario dell’architettura per interni, in questo caso si ha a che fare con delle sopravvivenza di tempi trascorsi, tracce umane legate all’uso, anche all’incuria. Gli Interni di Tessarollo raccolgono le scorie del tempo. Gli oggetti rimandano immagini sfocate, corrose.
Non si vuole creare un elenco di furniture ma esprimere la sensazione che ci assale quando entriamo in contatto con gli edifici abbandonati, con quelle case disabitate da tempo in cui il degrado si manifesta attraverso l’usura, la densità delle tracce dei liquidi, delle polveri incollate ai pavimenti e alle piastrelle… E in un certo senso spesso è proprio la stanza da bagno, i lavandini, le vasche da bagno, a recare impresso la materialità dell’incuria, del non pulito ma soprattutto si crea contrasto tra il luogo della pulizia, del detergersi e quindi purificarsi in senso simbolico, e le tracce di vite passate. La sporcizia è come tempo sospeso e immagine opposta alla vita e al controllo su di essa. Gli Interni sono isole temporali aperte su sinestesie personali, su ricordi e sensazioni che tutti pos- sono condividere.
Le tre nuove grandi installazioni come Grancassa, Gira e rigira e Giro in tondo del 2010 sono invece una fase nuova in cui i materiali classici di Tessarollo si uniscono al disegno, disciplina sempre frequentata dall’artista, accrescendo il senso di instabilità e di provvisorietà. Da un lato proprio Grancassa che diventa, grazie al movimento meccanico, una sorta di mobiles in chiave post moderna, è costituita da decine di elementi che sedimentano espressività e tecniche dove l’elemento sonoro da un lato aggiunge qualcosa e la rende un’opera d’arte totale, ma nel contempo crea un’ulteriore spiazzamento ed espande la sensorialità sinestetica.
Ma i nuovi lavori sono formalmente aperti, sono un abbandono della diretta riconoscibilità degli oggetti e vanno in una dimensione povera, di precarietà e fragilità, di materiali spogliati da ogni appeal e levigatezza. Questa nuova direzione del lavoro, allusoria ed enigmatica, rappresenta, come evocato nel titolo, una nuova fase di lavoro che richiama alla mente una nuova sperimentalità linguistica. L’opera diventa aperta sul senso e sulla temporalità di fruizione ed è un deposito di individualità, di singoli elementi che si coagulano in modo apparentemente provvisorio e inaspettato. Questi nuovi lavori richia- mano i lavori in paraffina degli anni passati, ma si allargano all’esperienza del non figurativo e del disegno, della decostruzione, qualcosa che ci riporta ad una durezza percettiva non comune in Italia.