C’è stato un tempo, politicizzato almeno quanto questo, in cui era d’obbligo la corsa all’istituzione. Tutti gli artisti ambivano ad entrare in Biennale come tutti avrebbero fatto carte false per piazzare un’opera all’interno di un museo qualunque, foss’anco ubicato in una miserrima cittadina di provincia. Oggi le cose non stanno più così e la moda del momento sembra anzi esser quella della retromarcia. Dalle pagine del la Repubblica di Napoli apprendiamo infatti che su 104 opere in esposizione permanente al MADRE, 86 sono state chieste indietro dai loro rispettivi creatori e collezionisti, stiamo parlando di artisti come Jasper Johns, Robert Rauschenberg, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, Giulio Paolini e Jeff Koons.
Tutto questo accade dopo le dimissioni del cda, vicepresidente Achille Bonito Oliva compreso, per ovvie ragioni di coerenza e dignità di ruolo. La decisione è infatti scaturita dopo l’ipotesi di far entrare galleristi privati nella stanza dei bottoni dell’istituzione, scelta poco etica ed in pieno conflitto di interessi. C’è inoltre da aggiungere che in questi giorni il MADRE morente è aperto per sole quattro ore al giorno e senza alcuna manutenzione. Sul fronte Biennale va invece sottolineato il sonoro dietrofront di moltissimi giovani artisti che in questi giorni vorrebbero essere chiamati all’interno di un minestrone senza precedenti, cucinato da Vittorio Sgarbi assieme ad Arthemisia Group. Si tratta anche qui di un rifiuto dettato dalla paura di immolarsi come carne da macello, all’interno di un’offerta culturale senza linea curatoriale e senza una minima selezione. Secondo il mio modesto parere questa ricerca allargata alla giovane arte poteva e doveva svolgersi anni or sono, all’interno di project room dislocate nei musei d’Italia, ma questo sondaggio sulle nuove potenze creative del nostro paese non è mai stato fatto, nessuno spazio è stato concesso al talento emergente. Ora si cerca di recuperare questo gap in due mesi, tirando in ballo amici ed amichetti, seguendo il funzionameto dei vari premi nazionali.
I 150 anni dell’unità d’Italia offrono al mondo l’immagine di una cultura nazionale quanto mai disgiunta. Le cause sono da ricercarsi all’interno di una scena dell’arte infarcita di favori, clietelismo, sprechi e viltà. Forse la nuova generazione artistica ha compreso tutto questo, forse non lo ha compreso affatto, si rifiuta per non far brutta figura, per interesse personale ma anche per amore ed obbligo nei confronti dell’arte. Tra sentimenti ed azioni contrastanti è però il rifiuto l’unico dato certo. Saranno questa Biennale, questo crollo del MADRE, l’impotenza del MAXXI e del MACRO, l’ultimo atto di un fare cultura nazionalpopolare che ci desterà da un sin troppo lungo torpore.
Micol Di Veroli