Siamo cresciuti in un mondo di immagini tanto che ora ci sentiamo dannatamente stregati dalle stesse. Già nel bel mezzo degli anni ’70 la Pictures Generation di Robert Longo, Sherrie Levine, Cindy Sherman e Richard Prince fu incredibilmente tentata dal vasto mondo della produzione delle immagini, di quell’universo al limite tra il fiabesco e l’orrorifico animato dal cinema, della televisione, dai magazines e dai cartelloni pubblicitari. Inutile aggiungere che questi artisti cominciarono una sistematica riappropriazione di quelle immagini, piegandole ai loro voleri.
Questo non senza incappare in noie legali riguardanti le leggi sul copyright, basti pensare alle controversie sollevate da Sherrie Levine e le sue 22 fotografie di Walker Evans ri-fotografate o le ormai leggendarie gesta di Richard Prince, autore di una ripetizione del cowboy della Marlboro. Prince da par suo è inoltre protagonista di una recente vicenda di plagio ai danni di una fotografia scattata da Patrick Cariou. Insomma, l’appropriazione delle immagini altrui ha scritto un capitolo decisamente interessante e pungente all’interno della storia dell’arte contemporanea. Si tratta però di sperimentazioni ampiamente portate a termine con congruo successo. Ed allora perché darne seguito oggi? La nuova corrente dell’arte documentaristica è un florilegio di immagini “rubate” solo che esse non sono prese in prestito dal mondo dei mass-media e dello star system bensì dalla nostra storia comune. Filmini super 8, diapositive e vecchie foto che ritraggono il passato degli altri, questa sembra essere la cifra stilistica dell’attuale scena del contemporaneo.
Tutto ciò è frutto di una nuova Pictures Generation che con disincanto tenta di raccontare i momenti di intima “celebrità” nascosti nel passato di ognuno di noi, come se le vite degli altri potessero trasformarsi in altrettante storie zeppe di personaggi anonimi ma celebri a loro modo. Questo comportamento creativo racchiude in sé un suo particolare fascino ma c’è il rischio di rendere tutto troppo facile. Solo il tempo potrà dirci se queste sperimentazioni, forse troppo simili a quelle di Christian Boltanski, sapranno ricavarsi un loro posto all’interno della storia dell’arte contemporanea.
Micol Di Veroli
Hackatao 21 Marzo 2011 il 16:01
Ci vorrebbe uno Tsunami di Giustizia per spazzare via tutte le scopiazzature e fantomatiche rielaborazioni di questi tempi.
Quando c’è un vuoto culturale, la pigrizia intellettuale genera copioni.
Micol Di Veroli 21 Marzo 2011 il 21:42
Verissimo!
un caro saluto
Micol