Se per un periodo di tempo, come è successo a me, non si ha modo di visitare musei e gallerie l’unico rimedio è ricorrere a magre consolazioni come riviste o libri per riempirsi gli occhi con un po’ d’arte. Che poi leggere male non fa, anzi, soprattutto se si tratta di “Vedere ad alta voce – 10 anni di arte a New York dalle pagine del Village Voice” di Jerry Saltz edito da Postmedia.
Quella che seguirà sarà una breve declamazione del mio innamoramento. Non lasciatevi ingannare: la prima impressione sarà di un libro poco accattivante, dalla carta di scarsa qualità e dall’impaginazione senza gusto; ma il contenuto è illuminante. La scrittura di Salz è asciutta e arguta, come lui stesso dice non parla il critichese, ma usa il cervello, riflette e racconta al lettore i suoi pensieri in maniera chiara e diretta. E i suoi pensieri non sono mai scontati.
In poche parole fa esattamente quello che dovrebbero fare tutti i critici e giornalisti d’arte, ma che a quanto pare nessuno fa, negli Stati Uniti come in Italia. Non voglio nemmeno soffermarmi sul fatto che prima di iniziare a scrivere ha fatto l’artista per breve tempo, in seguito il camionista e solo a quarantanni passati abbia deciso che voleva partecipare al mondo dell’arte. Lui stesso racconta che non aveva mai scritto nulla prima della sua prima rubrica su Arts Magazine. Poi dicono che il sogno americano non esiste più…
La cosa più interessante di questa raccolta di articoli è che coprono esattamente gli anni prima della famosa crisi che ci ha investiti e passando da una galleria di New York all’altra Salz traccia involontariamente un quadro generale dello spirito che si respirava allora, delle tendenze e delle evoluzioni dell’arte.
Certamente si tratta di una raccolta di punti di vista a senso unico su esposizioni che difficilmente avremo visto, ma col suo fare scanzonato e ironico, il critico riesce a coinvolgerci e renderci partecipi. Uno scorcio sull’arte contemporanea fresco e nuovo che permette con un solo sguardo di vedere ad alta voce.