La galleria Monitor inaugura il 2 aprile il nuovo progetto di Rä di Martino, alla sua seconda personale nella sede di Palazzo Sforza Cesarini. Una serie di nuovi lavori fotografici e due installazioni inedite restituiscono lo sguardo dell’artista sui set cinematografici abbandonati di varie località in Tunisia e Marocco: gli insediamenti di Tatooine in Guerre Stellari, un’improbabile stazione di servizio americana e infine un arco Tibetano divengono moderne rovine che si ergono straniate in mezzo alle dune del deserto.
Gli interrogativi sui quali l’artista pone l’attenzione-esponendo per la prima volta in Italia un progetto non legato al mezzo video- stanno alla base dell’industria legata all’immagine filmica: cosa succede al cinema dopo il cinema e che tipo di relazione si instaura tra ciò che l’industria cinematografica produce e l’essere umano che ne assimila e vive il prodotto.
Rä di Martino esplora l’idea del paesaggio come controfigura, ponendo l’accento sul potere persuasivo delle immagini. Come giustamente titola Paola Nicolin in un articolo dedicato all’artista (Abitare marzo-aprile 2011), ogni film ci avvolge nell’incertezza.
Che sia Kundum in Tibet, Il Gladiatore dell’antica Roma o Gesù di Nazareth, il generoso deserto del Marocco è stato teatro di una vera e propria “dislocazione visiva” in cui luoghi diversissimi come l’Antico Egitto, Gerusalemme o il New Mexico coesistono e coabitano nello stesso territorio, mettendo in atto un incredibile gioco di sovrapposizioni visive e mentali, tra ciò che costituisce la realtà del paesaggio Nord Africano e ciò che appartiene al ricordo della memoria collettiva.
In questi set abbandonati e costantemente rimaneggiati dalle produzioni Hollywoodiane, antiche rovine del posto vengono inglobate da sedimenti di props cinematografici lasciati in loco e costantemente rimaneggiati in una continua trasformazione del luogo in altro da se, pur mantenendone invariate le caratteristiche che lo rendono così prezioso.
La kasbah di Ait Ben Haddou nel sud del Marocco, una delle località più spettacolari dell’Atlante marocchino, con più di trenta film ospitati al suo interno e con il suo orizzonte sgombro da costruzioni moderne è il simbolo perfetto del paesaggio-controfigura. Nella grande installazione che Rä di Martino propone per la sua personale da Monitor, l’immagine della kasbah viene riproposta in maniera ossessiva e straniante, così come dei vecchi visori di diapositive americani, usati un tempo per guardare le foto di viaggi, divengono dei piccoli teatri in cui paesaggi desertici stilizzati con semplici tratti di scotch e matita ricordano le rovine dei set cinematografici da lei visitati.
Nei lavori fotografici presentati, il dislocamento visivo si imbeve di suggestioni che richiamano alcuni topoi dell’arte americana del XX secolo: finte torrette di avvistamento, catapulte, le strutture aliene del set di Mos Espa, sembrano quasi delle involontarie opere di Land Art, surreali spyral jetty di smithsoniana memoria. La Gas Station americana, landmark per eccellenza e amato da artisti quali Eggleston e Hopper, nelle opere di Rä di Martino è in realtà una delle molte e surreali facce del Marocco e di cui la tranquilla presenza di un berbero svela l’ennesimo trucco.