La battaglia legale intrapresa da Patrick Cariou contro Richard Prince, che aveva utilizzato le sue foto del povero fotografo francese per la serie di opere Canal Zone, (esposte e successivamente vendute da Gagosian), ha sollevato numerosi interrogativi riguardo la pratica artistica. Se Prince, Sherrie Levine e tutti gli altri compagnucci del New Conceptualism (o Pictures Generation) hanno sdoganato la pratica della found photography, è altrettanto vero che tale mania di “appropriazionismo” ha drammaticamente contagiato le nuove generazioni artistiche.
Trovare immagini e ristamparle è oggi un gioco da ragazzi, grazie anche alle nuove tecnologie. Ecco quindi che sempre più giovani artisti decidono di mettere in mostra scatti “rubati” e filmati presi dall’archivio Prelinger opportunamente rimontati. Fino a ieri questa pratica era supportata da una certa critica “colta”, dagli pseudo-giornilisti dei magazine di tendenza e da gran parte delle gallerie d’alto bordo della scena internazionale. Ora però la corte ha espresso un verdetto, Prince ha letteralmente infranto le leggi sul copyright e deve pagare i danni, la sua non è arte ma plagio. L’artista che oggi decide di appropriarsi di opere ed immagini altrui per mettere insieme la sua bella mostra documentaristica dovrebbe ponderare gli effetti di questa causa che per 4 anni ha duramente impegnato il povero Cariou. Ed ancora: Cosa penseranno ora i collezionisti che da anni comprano a peso d’oro le opere di Prince?
Questa domanda dovrebbe far riflettere anche tutti quei collezionisti italiani che per troppo tempo si sono fatti letteralmente abbindolare da critici e curatori improvvisati come da dealers senza scrupoli. Siamo un poco tutti figli di Marcel Duchamp ma questo non significa che ognuno di noi sia libero di prendere un oggetto e trasformarlo in una propria opera d’arte. La pratica creativa è un impegno che richiede duri sforzi, anni di studio ed un serio impegno oltre che una rigorosa visione d’insieme.Tutto ciò dalle nostre parti, dove regnano le “libere professioni”, sembra essere una vera e propria chimera.
Micol Di Veroli
Jerry Hluang 4 Aprile 2011 il 13:35
Sono contento che tu abbia data evidenza a questa notizia ( l’avevo segnalata anche ad Artribune per sollevitare un dibattito sul tema).
Siamo tutti nipotini di Duchamp … ma c’è una bella differenza tra il readymade ( oggetto d’uso comune ) e un opera d’arte altrui. D’altro canto ci sono anche le “citazioni” ee “appropriazioni” che con il cibo di media o con l’intervento dell’appriopiante mutano drasticamente il messaggio originario a volte capovolgendolo. Personalmente ho sempre fatto della “novita’ e originarieta’” un principio fondante del mio lavoro, ma data la diffusione di “appropriazioni” e “citazioni” mi picerebbe proprio si aprisse un serio dibattito di approfondimento sul tema, anche perché la sentenza (che ricordiamolo fa stato sul sul caso in esame) se estensivamente applicata potrebbe porre seri dubbi su lavori anche “storicizzati” considerati capolavori del contemporaneo. Quali i limiti accettabili della citazione e dell’appropriazione? Il giudizio del tecnico del diritto è, in astratto, sufficiente e soddisfacente?