La z2o Galleria | Sara Zanin di Roma è lieta di presentare la prima personale romana dell’artista Marco Maria Giuseppe Scifo dal titolo Running Glance. Sguardo rapido sulla realtà, corsa fugace (ed efficace a trasformare il quotidiano), occhiata offensiva sui problemi che devastano il diario planetario, Running Glance si pone come necessario antidoto riflessivo nei confronti di una natura addomesticata e maltrattata dal circuito internazionale.
Ricreazione felice di luoghi, cose, eventi e occasioni, l’opera di Marco Scifo rappresenta una azione di disapprovazione nei confronti di alcuni avvenimenti infelici della storia. Di collassi e di perdite di senno in cui l’uomo d’eternità s’arroga il vanto (Leopardi) e distorce, con noncuranza, l’organizzazione naturale del mondo. Ai fenomeni attuali di inaridimento della natura e della fantasia umana l’artista contrappone, con eleganza, un nuovo universo incontaminato in grado di riscattarsi, tuttavia, dai territori dell’ecologia e della denuncia tout court per dar luogo ad un comportamento culturale di chiara impostazione analitica che non dimentica di interrogarsi sulle ragioni e le implicazioni della propria attività (Menna).
Con Running Glance, trilogia progettuale che comprende Shoot Baby Shoot, Iceberg e Life In The Polar Regions, Scifo propone ora, ricalibrando gli ambienti leggeri di Eye Run – personale tenuta a Milano negli spazi del Centro Culturale Francese – un ulteriore contatto con il tempo della vita comune mediante una ginnastica visiva che si fa muscolo critico, argomentazione pungente, lancia oftalmica tesa a bucare lo sguardo dello spettatore e a tessere un paesaggio incantato in cui le figure si fanno eterne e dolci.
Panoramica rapida sulla realtà, sguardo che segue ed esegue, corsa fugace (ed efficace, tra l’altro, a trasformare il quotidiano), occhiata offensiva sui problemi che devastano il diario planetario, Running Glance si pone come necessario antidoto riflessivo nei confronti di una natura addomesticata, atterrata e maltrattata dal circuito internazionale. Facendo brillare la mina sul ponte del perbenismo e della sostanziale indifferenza che l’uomo nutre nei confronti del proprio ecosistema, Marco Scifo genera, così, un palinsesto di opere che trasformano la passività della notizia in consapevolezza, dissertazione immaginifica, pensiero dialogico.
Seconda puntata di un work in progress (e di un work experience) che preme lateralmente sul senso di colpa con una presa diretta e istantanea della condizione terrestre, Running Glance schiude un discorso linguistico che sabota il luogo comune e le distrazioni della società di massa – del conformismo dilagante e delle lascive irritazioni che sfigurano il giardino planetario (Clément) – per far leva su una compagine di problematiche (il discioglimento dei ghiacciai, l’inquinamento delle acque e dell’etere, ad esempio) che si trasformano in rasoiata sottile, fulmine accecante sull’attualità.
Ad aprire la mostra è il secondo passo di Shoot Baby Shoot che si delinea, questa volta, con un audiomuro (su cui è posizionato un disegno, con fori di pallottole, che ritrae un orso polare) teso a bloccare temporaneamente (e apparentemente) l’ingresso della galleria per condurre il fruitore in un’area delicata e irrequieta in cui l’attesa – simile a quella del franco cacciatore caproniano – si fa brano primario della composizione. Due sculture di luce (un trespolo con sopra una struttura in acetato illuminata da una piccola lavagna luminosa e un tavolo, anch’esso luminoso, con sopra un disegno a penna nera dei ghiacciai visti dall’alto) – rivisitazione integrale del progetto Iceberg – si pongono, assecondando il primo step del programma espositivo, come atmosfera diafana di un circuito metaforico che azzera le distanze e lilliputzionalizza la cartografia terrestre per proporre un mondo inviolato e luminoso.
Life in the Polar Regions, lavoro composto da tre disegni che riproducono animali artici illuminati da una luce radente e incisiva, si configura, infine, come territorio di ulteriore apparizione, di cristallina epifania temporale in cui tutto può apparire e ritornare alla sua atavica bellezza. Ad un mondo, quello della vita e della realtà reale, che resta per tutti – lo ha suggerito Angelo Trimarco – l’orizzonte dentro il quale si tesse la trama dell’opera.