Respira a lungo, senti: il profumo è cambiato, aria di primavera. Così entrando nella galleria di Nicoletta Rusconi di Milano sembra che una brezza lieve accarezzi la faccia: colori tenui, fiori, ricami, una potente dose di femminilità. Eppure si sa che le donne nascondono sempre una faccia e il trabocchetto è dietro l’angolo. Il pretesto per unire l’operato di queste due “giovani” artiste è una riflessione necessaria sul concetto di bellezza, un tempo fondamento della ricerca artistica, oggi soppiantato da altre necessità come il disgusto o lo scandalo(ma davvero abbiamo queste necessità?).
Eppure di bellezza ne avremmo bisogno e ancor di più di riflessione su, perché, per assurdo, nella società dell’immagine si è perso il contatto con la sublimazione della bellezza nelle forme di espressione artistica.Questa certo è una necessità per me, che credo poco nel botulino e molto invece nella complessità dietro ad una parola così abusata come bellezza: oggi tutto è bello o brutto, ma non si spiega mai il perché.
Qui i punti di vista sono diversi eppure il lavoro delle due artiste si fonde perfettamente rendendo la mostra piacevole da vedere ed ben equilibrata. Lisa Salomon, trentottenne californiana, gioca con la nostra percezione visiva. I suoi intrecci a uncinetto, che siano avvolti su leggere sfere di vetro o ricamati su carte trasparenti, sembrano segni grafici belli nella loro geometricità. Come fossero tanti fiocchi di neve colorati. Peccato che a veder bene si scopre che non sono altro che rappresentazioni di virus, tossine, funghi parassiti. L’artista si ispira alla similitudine tra i disegni scientifici e quelli infantili, come le greche decorative che orlavano i quaderni delle elementari, svelando così che la decorazione nasconde l’orrore. La natura dell’uomo è doppia e spesso maligna.
Donatella Spaziani invece, sarà che è nata in provincia e non ha respirato l’aria dell’oceano, compie un viaggio più introspettivo alla ricerca del vuoto come spazio dove risiede il bello. L’ombra diventa rappresentazione dell’Io, che manca o che è sopraffatto, all’interno del mondo: cartine geografiche, carte da parati, interni di stanze sono tutte menomate da una macchia nera. O forse è proprio quell’ombra disegnata a dare spessore all’immagine sottostante. Ancora una volta l’ambiguità mette la scelta nelle mani dello spettatore, la visione della bellezza può essere percorso interno, nel vuoto, oppure è l’Io che guardando verso l’esterno diventa forza creatrice?
Fleeting beauty, fugace bellezza, come i busti in cuoi disposti a cerchio della Spaziani, quasi a simboleggiare un rito di bellezza per sole donne, ahinoi, o come i merletti appesi con gli spilli della Solomon, che se si tira un filo si distrugge tutto. Perché nulla è più effimero della bellezza e nulla più eterno.