La galleria Giò Marconi di Milano inaugura oggi la mostra “X”, collettiva erotica che raccoglie i lavori degli artisti Nader Ahriman, Bruno Di Bello, Judith Bernstein, John Bock, Monica Bonvicini, Nathalie Djurberg, Keith Farquhar, Simon Fujiwara, Wade Guyton, Robert Heinecken, Dorothy Iannone, Sarah Lucas, Man Ray, Dasha Shishkin, Andreas Slominski, Francesco Vezzoli.
Nei disegni e nei collage di Nader Ahriman (Shiraz 1964) le astrazioni filosofiche di matrice idealista prendono forma attraverso l’intervento grafico dell’artista. Cinema e antichità vengono filtrati in chiave erotica, fondendo estetica e contenuto. Bruno Di Bello (Torre Del Greco 1938, vive e lavora a Milano) partecipa alla collettiva con una “Variazione su una foto di Man Ray” realizzata nel 1976 su tela fotografica. Attraverso la scomposizione dell’immagine di Kiki, musa del maestro, Di Bello rilegge l’esperienza delle avanguardie storiche sviluppando un’idea dell’arte come riflessione sulla suo storia.
Il dittico a carboncino di Judith Bernstein (Newark 1942) presenta attraverso l’inconfondibile tratto nervoso dell’artista due figure nude abbozzate, poste l’una di fronte all’altra, colte in un atto di autoerotismo. Censurata nel 1973 per il disegno di una vite troppo simile a un pene, l’artista femminista ha sviluppato sin dagli esordi l’iconografia fallica. Gli objets trouvés di John Bock (Gribbohm 1965) diventano l’elemento cardine della composizione: dietro all’apparente causalità dei suoi assemblaggi e dei collages si cela la volontà dell’artista di offrire una personale chiave interpretativa dell’esperienza umana.
Le scritte di Monica Bonvicini (Venezia 1965) si pongono come espliciti inviti al sesso, sottolineandone le potenzialità soggioganti grazie ad un’iconografia che gioca sull’evocazione della catena. Nei collages tratti dalla serie “The Bedtimesquare” la camera da letto diventa al pari della piazza newyorchese punto di incrocio e di scambio. “Badain” ci inchioda davanti allo schermo per assistere a un’orgia di puppets: i protagonisti del video di Nathalie Djurberg (Lysekil 1978) si intrecciano in rituali e giochi amorosi.
Con le sue flat-pack statues Keith Farquhar (Edimburgo 1969) critica una società in cui anche l’uomo può essere clonato e riprodotto. Le sagome in cartone di Farquhar sono rappresentazioni bidimensionali di corpi nudi dipinti, successivamente fotografati e stampati su supporti autoportanti. Simon Fujiwara (Londra 1982), già presente negli spazi della galleria con l’installazione Phallusies (An Arabian Mystery), presenta due collage su tavola, in cui le figure nude si nascondono con malizia dietro antichi ventagli spagnoli.
Wade Guyton (Hammond 1972) partecipa alla collettiva con un dittico di grandi dimensioni: partendo dalla rielaborazione a computer della lettera X Guyton imprime la tela attraverso stampanti inkjet, lasciando alla porosità del tessuto e alle sbavature di inchiostro la possibilità di concorrere attivamente alla definizione estetica dell’opera. La X nera assume le caratteristiche di una firma per i lavori di Guyton, e allo stesso tempo una riferimento all’omosessualità. Partendo da immagini tratte dalla stampa popolare il fotografo americano Robert Heinecken (Denver 1931) pone l’accento sulla falsificazione della realtà messa in atto dal mondo pubblicitario e sull’uso del corpo femminile come strumento di promozione del prodotto.
Due lavori storici di Dorothy Iannone (Boston 1933) offrono allo spettatore scene della sua relazione erotica con l’artista Dieter Roth, sintetizzate in un linguaggio che ricorda gli affreschi egiziani e i mosaici bizantini. Le metamorfosi genitali di Sarah Lucas (Londra 1962) trovano spazio accanto alle stampe che ne rappresentano l’allusivo potenziale. Man Ray (Philadelphia 1890 – Parigi 1976) è presente con un dipinto e una selezione di fotografie di nudi femminili, accanto a una rappresentazione fallica realizzata attraverso la giustapposizione di solidi geometrici in marmo.
Il tratto grafico delicato di Dasha Shishkin (Mosca 1977) stride in relazione alle campiture e alle tematiche aggressive che caratterizzano la sua pittura. I personaggi si moltiplicano e si fondono nell’ambientazione, generando una narrazione frenetica e angosciante al tempo stesso. I bassorielievi intagliati su Styrofoam di Andreas Slominski (Meppen 1959) ritraggono scene di genere a sfondo erotico o citano in maniera provocatoria i graffiti metropolitani. Francesco Vezzoli (Brescia 1971) partecipa con “Untitled”, uno dei suoi primissimi lavori a ricamo, una riproduzione a piccolo punto di una pubblicità di chat-erotiche viste dall’artista nelle cabine londinesi all’epoca degli studi alla St. Martin School of Art.