Dovete sapere che in via Farini, a Milano, c’è proprio tutto: c’è il Brico, c’è il negozio Tutto a un euro e più, ci sono almeno una trentina di kebabbari e poi ci sono gli appartamenti dove l’associazione ViaFarini ospita le residenze d’artista. Un paio di settimane fa mi son fatta coraggio e sono andata a vedere cosa ha creato la congiuntura di questi luoghi: VIR Open open per Memories and encouters, il ciclo espositivo iniziato nel 2009 dell’operato degli artisti in residenza.
Per tre mesi Giorgio Guidi, Jaša e Matthew Stone hanno vissuto in appartamenti adiacenti e condiviso lo studio al piano terra della palazzina al numero 35 di via Farini. Il risultato? Un’esposizione fuori dagli schemi, irriverente e coinvolgente. Tre artisti che conducono ricerche estetiche diametralmente opposte, ma accomunati dall’interesse per il rapporto che si crea tra opera e spettatore. E qui ci sarebbe da soffermarsi, perché, se tre ragazzi nati tra il ’78 e l’82, e non credo siano casi isolati, pur percorrendo strade diverse puntano allo stesso bersaglio, forse qualcosa vuol dire.
Matthew Stone, britannico, è il più etereo dei tre. Le sue fotografie mostrano corpi nudi annodati tra loro, sono orgie senza sesso che diventano tridimensionali, montate su pannelli di legno. La capacità di esaltare le bellezza del corpo umano come faceva Robert Mapplethorpe mischiate alla tradizione sciamanica di Joseph Beuys, non per niente ha incantato anche Marina Abramović.
Jaša, sloveno, invece punta tutto sulla carica erotica esplicitata, crea con oggetti di scarto, mondi iperparanoici e fiabeschi allo stesso tempo. Grottesco, kitsch, violento, sexy esorcizza mondo moderno e nella sua fatica da la possibilità allo spettatore di vivere in una realtà parallela, forse più folle, forse più vera.
Infine Giorgio Guidi, italiano, in cui i ready-made di duschampiana memoria si mescolano a disegni rupestri che si mescolano all’immaginario goth-metal, dando vita ad oggetti scenici tanto equilibrati e puliti dal punto di vista formale, quanto inquietanti nel messaggio che celano. L’installazione presentata da Guido è un enorme teschio di pizzo bianco e gesso sorretto da una struttura di legno, sotto di esso uno scranno peloso e ossa giganti. L’inquietante visione è stata teatro per una sera della performance The tiger and the bone: lo stesso Guidi alla chitarra, con Luca Veronese al tamburo, Luka Ursic al basso e Marco Bettoni al verso lirico hanno animato l’installazione con un intervento musicale coinvolgente incentrato sull’essere umano. Come scrisse Walt Whitman “Each of us inevitable; Each of us limitless – each of us with his or her right upon the earth; Each of us allowed the eternal purports of the earth; Each of us here as divinely as any is here”.