Venerdì 29 Aprile 2011 presso la galleria CHANGING ROLE di Napoli, inaugura la mostra “The soul of my soul”, personale di Francesco Padovani, a cura di Guido Cabib. L’artista presenta una nuova serie di immagini espressamente prodotte e pensate per gli spazi di Changing Role. Attraverso un ingegno manuale, ossia una superficie riflettente di fogli di alluminio, Padovani ritrae le figure, prevalentemente femminili.
Gli scatti di Francesco Padovani, con grande raffinatezza, scavano e mostrano le pulsioni dell’inconscio dell’essere femminile con occhio maschile, ma con una sensibilità del tutto femminile, e questo è già inusuale. Egli mostra l’anima femminile nel suo profondo, nella parte più amata dall’uomo, quella a cui da sempre esso anela, quel misto di grazia, erotismo e protezione.
Nella storia dell’arte è quasi impossibile trovare -nella ritrattistica- donne, nobili o popolane, che occultano la loro essenza, il loro spirito. Oggi, dopo l’emancipazione e nella realtà quotidiana, la loro anima è forzatamente occultata, come se la loro identità femminile fosse di fatto celata agli occhi dei più. Nell’era contemporanea le donne soffrono ancora delle privazioni; in tantissimi luoghi esse sono ancora schiave oppresse che hanno rinunciato alla propria essenza, al “daimon” femminile. Francesco, con la sua maturità di uomo adulto, le ritrae alla ricerca della via di risoluzione: la conciliazione tra i ruoli che la società civile in qualche modo gli impone e il loro spirito essenziale ed unico.
L’essenza femminile, negli scatti di Padovani, accetta quest’occultamento, ma, allo stesso modo, lo allontana per mostrare e mostrarsi, lo accetta per difendersi. Noi percepiamo i sospiri e le pene che quest’occultamento procura alla loro meravigliosa spiritualità e grandezza. L’occhio dell‘artista ci restituisce un sentimento che si ribella alla bellezza moderna, artificiosa e decadente, riconquistando alla vista ed al cuore il diritto di immergersi nella bellezza originaria ed incorrotta della natura, con un senso di nostalgia melanconica del “buon selvaggio” per la fanciulla spontanea, che è propria della donna.