“Leggo per legittima difesa.” (Woody Allen)
Così decido di iniziare una rubrica sulla lettura. Lo farò con scadenza mensile, con preferenza l’ultima settimana di ogni mese. Giusto una piccola recensione di un libro appena letto. Ho la fortuna di poter iniziare da un’amica e ottimo critico d’arte. Oltre ogni limite è il primo libro di Micol Di Veroli, edito quest’anno per la DEd’A Edizioni, che verrà presentato oggi alle 18:30 presso la Sala Forum di Palazzo delle Esposizioni (via Milano 15/17 – Roma)
Il libro ha una in se una dimensione didattica. È esplicitamente volto a far avvicinare con una lettura abbastanza facilitata un pubblico eterogeneo alle stranezze e bizzarrìe, talvolta apparentemente incomprensibili, dell’arte dell’ultimo periodo. Si spazia da Beuys e De Dominicis, passando per Cattelan, Hirst, Gilbert e George e altri, fino ad alcuni artisti under 40. Decido tuttavia che l’elemento su cui voglio soffermarmi non è la scorrevolezza. Ci sono effettivamente spunti narrativi e descrittivi molto piacevoli ma c’è anche dell’altro. Ovvero una teoria.
Si indaga qui cosa si intende per “limite”. Teoricamente è un segno visibile che mostra un confine, la demarcazione tra due differenti territori o ambiti. Per Micol Di Veroli il limite superabile e superato da alcuni è la demarcazione canonica di che cos’è arte. Se arte è un oggetto o un’azione concettualmente connotati, allora essa confina con altri ambiti. Questi ambiti sono la vita quotidiana, la paura della morte, il comune buon senso, il buon gusto, la privacy, la sfera privata, la capacità di resistenza, il mettersi alla prova… per farla breve definiamo qui mondo reale (non arte) il tessuto del “vissuto” o del “vivibile” del quale l’arte dovrebbe essere solo un referente.
Forzare questi limiti, invaderli, appropriarsi degli elementi “al di là” del limite, è dunque possibile. Perchè allora queste operazioni di forzatura sono ancora arte? Sembrerebbe proprio perchè forzature. Rimangono infatti azioni connotate, pensate… spunti nati da intuizioni, in quanto tali non naturali ma “artificiali”. Tuttavia nel loro atto di forzatura si auto-definiscono… si mostrano nel campo artistico. Forzare il limite tra vita e arte non significa infatti, o almeno non esattamente, essere la vita. Le operazioni narrate individuano dei limiti, li sfilacciano, li allungano, ma non li negano, non li escludono, bensì li, appunto, “ridefiniscono” in base al contesto. Il caso stesso viene tolto dall’ambito del flusso della vita e può giocare alla bisogna.
Contestualizzare può significare che tutto si muove, si trans-estetizza, oppure trans-concettualizza… per dirla meglio, tutto si carica di una valenza estetica e/o concettuale e si ripropone come se stesso, o artifizio di se stesso, ma spostato di campo e di ambito. L’operazione è sinaptica, più vicina allo studio del linguaggio (indagare sul significato in base a “quando” viene usata una parola) che a quello, ad esempio, dei sistemi chiusi come il computer (a cosa porta una parola).
Dunque un’operazione di attenzione estetica molto sottile ricostruisce, in base agli atti, il nuovo confine di demarcazione nel contenuto delle cose… ossia nel significato che sovrasta, ma anche sovrastà (sta al di sopra del) il segno. Aggiungerò che nonostante la mia oscurità il testo è molto chiaro, si legge facilmente e in breve tempo.