A me Wenders piace spesso, e il primo Wenders oltre modo. Anche alcune cose recenti erano ancora state pienamente di mio gusto. Così decido, da buon siciliano, di vedermi questo Palermo shooting, del 2008.
Gli ingredienti che fanno al caso di Wenders ci sono tutti: la fotografia in primis. È infatti la storia di un fotografo di successo in crisi esistenziale… poi c’è il viaggio, la sicilia, il Trionfo della Morte, il dipinto palermitano che da il senso onirico e sotteso a tutto. I titoli di coda, infine sono aperti da una dedica a due registi morti lo stesso giorno, durante la lavorazione del film, l’amico Michelangelo Antonioni e Ingmar Bergman, venuti a mancare entrambi il 30 luglio 2007. Perfino questo ha a che vedere col film e con la poetica. Peraltro Dennis Hopper nel film, nel ruolo, appunto, della Morte, è davvero affascinante.
Purtroppo però il film, sopratutto nel finale, parla troppo. Il finale, io credo, svela eccessivamente quanto per tutto il film era stato tenuto nascosto, sotteso, in definiva quanto della storia affascinava, ed era in fondo si, nascosto ma tutto sommato chiaro… La paura della morte che è paura della vita, il fotomontaggio interpretato come teatro morto, costruzione decorativa ma senza linfa della realtà, e poi i sogni del protagonista, le frecce immaginate o reali che attentano alla sua vita, il famoso quadro palermitano… tutto parlava già a sufficienza. Nonostante il fascino delle espressioni di Hopper la sua divagazione finale sul senso della vita e della morte potrebbe essere ridondante… come dire bastava la metà. Bukowski diceva che la poesia è quando si dicono molte cose con poche parole, e la letteratura quando si impiega molto tempo per dirne di meno… condivido a metà la frase ma fa al caso del finale di questo film. La fotografia infine è di livello altissimo, come sempre.
Mina 24 Marzo 2017 il 19:36
That’s cleared my thoughts. Thanks for cotnbiruting.