Lo spazio della galleria Ingresso Pericoloso di Roma si farà libro su cui appuntare pensieri scaturiti dalle relazioni personali, dai luoghi frequentati e dal trascorrere del tempo in occasione della mostra “Da piccola facevo disegni colorati”, prima personale romana di Violetta Valery (Roma, 1982), che sarà inaugurata il 19 maggio e potrà essere visitata fino al 9 luglio 2011.
“Mi chiamo Violetta, sono nata a Roma 28 anni fa. Fino ad oggi ho cambiato tante case, e tanti luoghi, e in tutto questo ho capito che potrei vivere bene o in campagna, o in una città molto grande. Da piccola facevo disegni colorati, adesso faccio dei disegni scuri e da mal di stomaco. Mi piace disegnare e mettere sulla carta i miei pensieri. Mi aiuta a dimenticarli, a dargli un’altra forma. Disegno quello che mi succede. Mi piace il momento in cui un brutto ricordo diventa un disegno, e finalmente lo puoi guardare con altri occhi. A volte qualcuno mi chiede di guardare i miei lavori, qualcuno mi chiede di spiegarli, di solito preferisco che vengano guardati senza voce narrante. Preferisco usare un nome d’arte, mi da più libertà.”Questa l’introduzione, scritta dalla stessa protagonista; la narrazione sarà suddivisa in tre capitoli: mentale, sentimentale e fisico.
Nella prima sala lo spettatore verrà messo di fronte al symbolon: alla parte per il tutto. Lo spazio mentale verrà identificato da oggetti che circondano l’attività pratica dell’artista. Pochi elementi, immediatamente riconoscibili, come finestra sulla connessione psichica intercorrente tra gesto creativo e mezzo utilizzato. Crocevia tra reale e immaginario.
Dare forma a pensieri ed emozioni attraverso la trasposizione degli stessi su carta renderanno la seconda sala un luogo di alternanza e sovrapposizione dei sentimenti più disparati. Disegni di parole rubano la scena a disegni di silenzi. Le emozioni più intime cadono su pagine di diario alla ricerca di un lettore partecipe di un forzato processo di emancipazione.
Infine la fotografia, come mezzo concreto per una analisi di uno spazio materiale, tangibile e ben delineato. La terza sala diventerà una camera oscura e laboratorio di sviluppo di autoritratti del proprio viso e frammenti del proprio corpo. Un tentativo di sezionare e analizzare il proprio aspetto alla ricerca della propria identità.