Maggio è un mese particolarmente prolifico per il MLAC di Roma che ospiterà ben tre mostre dal respiro internazionale curate da Alessandra Troncone. Le tre personali si divideranno in due eventi. Nel primo, che verrà inaugurato il 4 maggio, la caratteristica struttura del museo sviluppato su due piani, consentirà di ospitare contemporaneamente due mostre distinte. Al piano superiore la personale di Valerio Ricci intitolata Sŏul che si protrarrà fino a fine mese; il piano inferiore sarà invece riservato al ciclo espositivo Czech Point, che vede protagonisti due artisti cechi Jan Pfeiffer e Lukáš Machalický. Pfeiffer sarà il primo ad occupare gli spazi del museo fino al 15 maggio e successivamente sarà la volta di Machalický il cui lavoro sarà presentato il 18 maggio.
Per quanto riguarda questo primo evento, non fare a meno di notare il carattere cosmopolita che lega le due esperienze proposteci. Se Valerio Ricci in Sŏul ci presenta le sue ricerche svolte durante una residenza d’artista presso il Mongin Art Center a Seoul (Corea del Sud), il lavoro di Jan Pfeiffer verte sul carattere omologante che hanno assunto le grandi capitali mondiali, da New York, a Mosca, da Madrid, a Pagra.
Ricci mostra una serie di stampe fotografiche in cui svariati oggetti sono parzialmente dipinti di nero e inseriti nel contesto della città creando sensazioni contrastanti di familiarità e spaesamento, una condizione che fa riferimento alla filosofia cinese in cui “yin e yang” (la dialettica degli opposti) si manifestano come opposti indiscernibili e direttamente dipendenti l’uno dall’altro. Anche il titolo, gioca con questo doppio significato alludendo, oltre al nome della città, anche alla pronuncia della parola anima in inglese.
Ma la stessa ambivalenza emozionale, possiamo riscontrarla in Right in front of me, questo è il titolo della mostra di Jan Pfeiffer, in cui vengono presentanti gli aspetti più “comuni” della globalizzazione, quelli che appaiono “giusto davanti a noi” appunto, tali da rendere indistinguibili elementi di provenienza di una o un’altra parte del mondo. Nel video The Observer, uno spettatore silenzioso osserva un paesaggio futuristico ed asettico e, attraverso esso, avvertiamo questa sensazione di straniamento tipica di un mondo di cui ci sembra di aver perso le redini, in cui non è più possibile rintracciare presupposti umani. Altri lavori si riferiscono più specificatamente alla natura della globalizzazione: è il caso di After the first (2008) in cui una serie di tre fotografie, apparentemente scattate nello stesso luogo, presenta invece dettagli che ci lasciano intendere che si tratta di luoghi differenti (New York, Berlino, Praga) uniformati dal contesto globale; From (2008) invece un’installazione in cui un tavolo, una sedia e un piatto nascono dall’assemblaggio di elementi provenienti da luoghi differenti che risultano però assolutamente indistinguibili. Nella serie di video In order (2008), presentati in piccole cornici digitali, l’artista gioca a “correggere” la geografia paesaggistica con innesti fotografici di cui si avverte la natura fittizia e che fungono da metafora eloquente della necessità di ridefinire gli spazi architettonici secondo una dinamica di maggiore vivibilità. Infine i lavori più recenti, Outreach, Above e il video Beyond Control indagano la città come luogo semantico di connotazione culturale ma anche come esperienza intima e soggettiva.
Anche in questo caso siamo in presenza di un’esperienza ambivalente: da un lato, l’apparente senso di familiarità che contraddistingue un contesto in cui tutto è reperibile, ovunque, dove i luoghi appaiono raggiungibili anche solo mentalmente; dall’altro un senso di precarietà che nasce proprio dal constatare come la natura di questa omologazione livelli ogni forma di possibile identità. Ancora una volta l’arte si situa nell’interstizio tra umanità e progresso e ci mostra come tutto può essere adattato a condizioni etiche migliori senza per questo rinunciare a proiettarsi nel futuro.
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