Chiara Mu scrive: “Jazzare sul tempo che passa. Mi e’ rimasta questa frase addosso e considero il mio intervento una personalissima risposta a riguardo. Non e’ possible jazzare sul tempo che passa perche’ non esistono ritorni. Alba de Cespedes scriveva quel bellissimo romanzo, “Nessuno torna indietro”, sulle ragazze che vivevano nel pensionato, cristallizzando in un momento preciso le loro emozioni, aspettative, desideri e timori. Poi tutto cambio’, ognuna fece la sua scelta e nulla fu’ come prima. Il mio intervento mira a sottolineare quel momento di stasi, ma a ritroso, si tratta solo di un ricordo infatti, non posso piu’ vestire le mie cose d’un tempo, il mio corpo ha preso altre forme e distruggerei la stoffa se cercassi di sentire di nuovo quella medesima camicia di bimba sulle gambe fredde di adesso.”
La vetrina espositiva del negozio di abiti vintage CLOSET, in via Metauro, 55 a Roma espone da oggi (fno al 29 maggio) il quinto intervento della rassegna “Usurato (jazzare sul tempo che passa)” a cura di Fabrizio Pizzuto. Si tratta di un intervento dell’artista romana Chiara Mu, di formazione artistica londinese che decide di capovolgere i temi, i tempi del ragionamento e della “gabbia” assegnata, ovvero la vetrina e il contenuto appunto tematico del lavoro.
Quel che accade è che il luogo attorno si modifica e ricompare non come contenitore propositivo di un tema, bensì come schermo, cornice oltrepassabile. L’opera dovrà essere al contempo vissuta, esperita da alcuni e da altri guardata esperire.
Le cose che non ci sono più e che non torneranno sono davanti solo al primo livello di lettura, completamente visivo; in seguito si insinuano, andranno ascoltate, entrando nell’opera e completandola dal di dentro. Il lavoro si snoda ottundendo prima e infine deridendo la vetrina. Essa stessa diventa parte di un discorso che nega il jazz del titolo, ne nega la validità concettuale e sottolinea lo scorrere impossibile, ma in ultima nega anche la sacralità della vetrina o dello spazio espositivo, esponendo esso stesso come funzionalmente tematico, o tematicamente funzionale.
Sempre Chiara scrive: “un lavoro ipertestuale sul tempo che non tornerà, attraverso qualcosa di usato che non è più indossabile, negando in sè la possibilità di ripossedere con il corpo ciò che è stato già vissuto. Un lavoro sul senso della visione. Non espongo un quadro in vetrina, qualcosa che si rivela al primo sguardo, ma articolo un intervento che costringe a faticare molto, costringe a cercare/cercarsi nell’opera. Infatti lo spettatore è invitato ad entrarci letteralmente, saltare al di qua dello schermo e diventare protagonista…con tutti i lati negativi del caso, ovvero sostenere il voyerismo a cui la vetrina stessa, per sua ontologia, si espone. (…) richiamare l’attenzione in modo attivo, ma che espone anche ad una vulnerabilità, ovvero apre ad uno sguardo che può cogliere tutto ciò che accade all’interno senza mediazioni.
In questo caso I am not there anymore, il performer si sottrae allo sguardo per lasciare accadere il rovesciamento sulla pelle di chi guarda… invitandolo a viversi una dimensione intima veicolata da suoni e buio, ma esponendolo anche al suo stesso sguardo di prima, ovvero a quello di un passante, di uno spettatore che osserva ciò che succede dentro, lo sguardo prensivo che rende automaticamente “performativa” ogni esperienza vissuta all’interno.”