Le città di Kassel e Bolzano in Europa: a prima vista realtà differenti e lontane dalle quotidiane storie di violenza di molte città latinoamericane. Ciò nonostante proprio la Kunsthalle Fridericianum a Kassel e il Museion a Bolzano hanno scelto di diventare amplificatori del disagio di Ciudad Juárez, al centro della mostra “Frontera” di Teresa Margolles. L’esposizione, a Kassel fino allo scorso febbraio, viene presentata a Bolzano dal 29 maggio al 28 agosto 2011.
Frontera è una riflessione sul dolore provocato dalle drammatiche proporzioni del crimine organizzato nella società messicana e in particolare sugli assassinii e sulle sparizioni avvenuti a Juárez, la città di frontiera sul confine del Messico con gli Stati Uniti che dà il nome alla mostra. Con più di 3.000 assassini in un anno, più di 700 donne catturate, torturate e uccise, Juárez è considerata una delle città più pericolose al mondo. L’artista Teresa Margolles ha creato per “Frontera” opere di grande impatto. A prima vista semplici e minimalisti da un punto di vista formale, i lavori rivelano però una profonda tragicità appena si apprende la genesi dei materiali di cui si compongono ed il loro legame con la cronaca più atroce. Al di là del contesto specifico in cui sono nate, le opere in mostra recano un’indubbia valenza universale e si estendono ai meccanismi di rimozione e ai tabù nei confronti della morte e della violenza oggi.
Il percorso della mostra si apre al pianoterra di Museion con quelli che l’artista definisce “parassiti nello shop”. Sono tracce quasi impercettibili lasciate dalla Margolles nel bookshop di Museion: una rivista composta da un intero anno di prime pagine del quotidiano di Juárez con la cronaca delle uccisioni, raccolte dall’artista mentre preparava la mostra; le note dei musicisti che suonavano nella Calle Marsical, una strada nella parte antica di Juárez, distrutta per dar vita a un quartiere commerciale; le t-shirt utilizzate in un’azione filmata con stampate le domande su quanto dolore possa sopportare una città.
L’esposizione prosegue al quarto piano del museo. Elemento centrale dell’allestimento sono due muri ad altezza d’uomo Muro Ciudad Juárez, 2010 e Muro Baleado (Culiacán), 2009, provenienti dal Messico e ricostruiti a Bolzano. I muri sono crudi testimoni di morte: le pareti riportano infatti i fori lasciati dalle pallottole durante le esecuzioni capitali di due poliziotti nella città di Culiacán e di quattro giovani tra i 15 e i 25 anni nella città di Juárez nel 2010. Ricollocando i muri pressoché intatti negli spazi del museo, l’artista ne ha stravolto il contesto e li ha portati a diventare da traccia di un fatto criminoso a opera sculturale.
La scultura Cubo, 2010 è un’opera dal grande impatto emozionale. Come le tracce sonore nel bookshop di Museion, anche Cubo è legato alla storia di Calle Marsical, il quartiere degli artisti di Juárez frequentato da Frank Sinatra, Nat King Cole Marilyn Monroe e raso al suolo e sfollato per far posto a un centro commerciale. Cubo è stato fuso dall’artista utilizzando il rottame da edifici demoliti del quartiere. È pesante una tonnellata: il peso materiale della scultura restituisce agli abitanti del quartiere il loro peso simbolico, il peso della memoria.
Tra le opere in mostra anche Plancha, 2010. L’installazione è composta da una serie di piastre d’acciaio roventi su cui cadono gocce d’acqua, che evaporano con sibilo impercettibile, lasciando traccia di calcare sul metallo. La trasformazione dell’acqua da liquido a vapore rimanda alla trasformazione del corpo umano nella morte: l’acqua che scende sulle piastre perde la sua innocuità quando si apprende che è quella utilizzata per lavare i cadaveri dopo le autopsie. Il sibilo della goccia si fa simbolo del dolore dovuto alla perdita; l’acqua richiama l’assenza del corpo delle persone uccise.
Oltre a diverse installazioni, a Bolzano verrà infine presentata per la prima volta anche l’azione filmata ¿Cuanto dolor puede soportar una Ciudad? creata appositamente per “Frontera” e svoltasi nelle città di Juárez, Kassel e Bolzano. Alcune immagini dell’azione verranno proiettate anche sulle facciate mediali di Museion. L’azione è ispirata dal pensiero che ogni luogo ha iscritta nella propria storia una sofferenza. “Quanto può sopportare una città?” e “Quanto dolore può sopportare una città?” sono le domande stampate sulle magliette indossate dai partecipanti all’azione in Messico, Germania e Italia. Margolles propone così un modo altro per parlare della città contemporanea, del suo tessuto sociale e della sua percezione.