Biennale, biennale, biennale ma non solo quella di Venezia! Biennale è infatti anche l’appuntamento di In Transit, arrivato alla sua undicesima edizione. La manifestazione, presso la Haus der Kulturen der Welt di Berino, si configura come festival performatico e, quest’anno, ha come nodo centrale il rapporto tra autore e spettatore. Come si sono trasformati questi ruoli con l’evolversi dei linguaggi complessi del contemporaneo? Gli interventi proposti si prefiggono di indagare proprio su questa natura mobile, su questo gioco di ruoli continuamente ridefinibili e su come essi siano portanti per la definizione dell’opera.
Il festival, che si svolgerà dal 15 al 18 giugno 2011, prevede un nuovo direttore artistico Jens Hillje, coadiuvato dal co-curatore Tang Fu Kuen. Il punto di partenza del festival è caratterizzato da alcune presenze femminili di rilievo. Ming Wong mette in scena, assieme a sua madre, la grande dama della canzone Turca; Angélica Liddell sfrutta il Riccardo III di Shakespeare per esaminare le relazioni tra corpo e potere mentre Ann Liv Young si trasforma in una sirena che seduce il pubblico.
Interessante anche il lavoro performativo di Ivo Dimchev e Franz West, vincitore del leone d’oro alla Biennale in corso (impossibile non mensionarla!), che si configura come un work in progress e le produzioni/appropriazioni di Branch Nebula, Dave St. Pierre e Daniel Kok.
Sarà inoltre possibile assistere alle performance del trio Bulut/Gabia/Baroncea, della danzatrice Eisa Jocson, Dick Wong da Hong Kong, Yann Marussich che con un particolare apparecchio misurerà la tenzione nervosa degli spettatori e molti altri…
In Transit 11 dunque si dimostra un’ottima occasione di riflessione sul ruolo della performance nell’arte attuale. Una pratica che, pur ad ondate alterne, si ripropone come mezzo efficace di compenetrazione tra i sistemi significanti, luogo di sovversione di ruoli, strumento di traslazione e di mobiltà dell’arte e soprattutto legame profondo con l’ambito della fruizione. Questa natura ambivalente della performance ne fa ancora un potente strumento processuale che non esaurisce la sua portarta ma che anzi nel suo “darsi” nel tempo e nello spazio del vissuto diventa fondamentale luogo di produzione e rinnovamento del senso.