Sul nome del nuovo direttore del MACRO di Roma è bagarre! C’è chi ha già aperto le scommesse, chi parteggia per uno, chi per l’altro. Chi è convinto che sia “quella” la persona più adatta, chi invece pensa che non ci sia scelta peggiore. La posizione è prestigiosa, gli obiettivi da raggiungere alti. Dà molto da pensare e non è facile immaginare chi sia il migliore. Intanto però una domanda andrebbe posta:
Qual è il vero ruolo di un direttore di un museo di arte contemporanea oggi? Forse dovremmo chiederci cosa effettivamente dovrebbe ESSERE un direttore piuttosto che cosa dovrebbe FARE. Dando per scontato che un museo, come è sempre stato, acquisisce, conserva, comunica ed espone le opere d’arte, è chiara la concezione alla base della storicizzazione e ‘sacralizzazione’ dell’arte (e degli artisti) come culturalmente determinante. Ma è veramente solo il punto di partenza. Insomma, siamo in parecchi a concordare sul fatto che i musei contemporanei sono ben tante altre cose. Come si faccia a parlare di storicizzazione per un museo che deve correre con la contemporaneità e semmai anticiparla sinceramente non l’ho capito. Come questi si pongano nel mondo attuale ancora non è veramente ben delineato. Appare ovvio però che il loro intervento nell’attualità più stretta è via via più pressante e proprio per questa modernità acquisita i loro processi di ‘legittimazione’ sono sempre più accelerati. Si assiste a una contrazione dei loro valori tradizionali verso valori che fino a poco tempo fa sembravano interessare altri campi (ah, se Einstein fosse ancora vivo!).
Si è arrivati a una completa osmosi e interazione tra le competenze del ‘vecchio’ direttore museale con quelle degli altri protagonisti del ‘meccanismo-arte’. E un ‘nuovo’ direttore non può certo stare a guardare, né fare tanto il duro conservatore-storico dell’arte. Porga l’altra guancia al ruolo di conservatore-promotore-animatore della scena artistica (sono certo che ce ne sono in giro di disposti). Insomma un critico che non disdegni di fare il manager. Dopotutto il museo contemporaneo è stato anche definito giustamente ‘industria della coscienza’.
Si parla di formazione ibrida e non si deve aver paura di una snaturalizzazione, anzi, non c’è niente di più adeguato. I direttori ora concorrono tanto alla formazione del pensiero estetico quanto a quello del mercato, creando con le loro scelte domanda e offerta. Devono essere dei manager in grado di gestire al meglio il bilancio, pronti a vendersi e pubblicizzare l’immagine, forti nel tenere i contatti con gli artisti e il pubblico. I nuovi direttori controllano il mondo dell’arte come fanno i galleristi, i collezionisti e i curatori, vivono ormai al suo interno, nutrono l’élite culturale e chi non si adegua rischia di rimanere ai margini insieme al suo museo. Se non accetta di fare i conti (nel vero senso della parola) con questo mondo contemporaneo quanto la sua arte avrà fallito. Il suo successo dipende dall’efficacia della sua azione all’interno del sistema dell’arte e dal gradimento del pubblico e, purtroppo, dei suoi amministratori.
Non sono tempi facili ed è effettivamente sbagliato valutare un museo in base al suo rendimento, da un punto di vista quantitativo, poiché si tratta pur sempre di un’istituzione no-profit che non per forza deve macinare incassi però è anche bene capire da che parte si sta andando.
Vinca il migliore!