(Dove eravamo rimasti…) Una volta rifocillati eravamo pronti per avviarci verso il grande spauracchio di questa Biennale, parlo ovviamente del Padiglione Italia. Per nostra fortuna sulla strada incontrammo un paio di belle sorprese, che a pensarci bene è proprio questo il bello di una manifestazione come questa: passare da una stanza all’altra e lasciare che l’arte ti nutra pendendoti alla sprovvista.
Il Padiglione dell’Argentina è stato una di queste sorprese, Adrián Villar Rojas è nato nel 1980 a Rosario ed è bello pensare che un ragazzo così giovane sia stato scelto per occupare il primo padiglione permanente della nazione. E se l’età può contar poco che dire allora dell’opera che ha ideato? El asesino de tu herencia – L’assassino della tua eredità, il titolo da solo è una dichiarazione di intenti che inserito all’interno di un contesto del genere a me fa venir voglia di abbracciare l’artista. Per me il suo lavoro è uno dei migliori visti in Biennale, non so se è una questione anagrafica che avvicina il suo discorso al mio, ma esiste un equilibrio di forme perfetto, una monumentalità perfettamente inserita nello spazio e una sinergia con lo spettatore palpabile che rendono le sue sculture in argilla qualcosa che va ben oltre l’immagine di arte latino-americana. L’argilla, materiale povero, ha la stessa potenza di un blocco di marmo e mi spiace davvero che in fotografia non si possa cogliere nemmeno lontanamente la sensazione di stare sotto queste sculture che sembrano reperti storici di Atlantide, o schegge di monumenti di qualche altro universo. Non per nulla Villar Rojas ha preso spunto dalla teoria dei multiverses, secondo la quale potrebbero coesistere allo stesso tempo diversi universi (la stessa della serie tv americana Fringe). Enormi colonne alla cui sommità si trovano capitelli, robot, veicoli mescolando l’immaginario post-punk con le forme più classiche dell’architettura, e lo spettatore piccole e inerme si ritrova in uno spazio in cui il tempo -presente, passato e futuro- non esiste, esistono però immaginazione ed infinite possibilità.
Anche il Cile ha un piccolo asso nella manica, Fernando Prats allestisce tre opere legate ai disastri naturali che nel complesso non mi hanno entusiasmata, ma l’enorme scritta al neon posta sopra la porta del padiglione non poteva con far presa sul mio spirito sognatore. Gran sur prima di approdare in Biennale è stata posta sull’isola di Greenwich, perché riporta il messaggio con cui l’esploratore irlandese Ernest Shackleton arruolò volontari per esplorare l’Antartico. La scritta recita così: “Si cercano uomini per un viaggio rischioso, bassa ricompensa, freddo estremo, lunghi mesi di oscurità totale, pericolo costante, dubbio ritorno sani e salvi, onore e merito in caso di successo”.
E per concludere, l’ultima bella sorpresa all’Arsenale, l’ho trovata nel Padiglione dell’Istituto Italo-Latino Americano: Reynier Leyva Novo, cubano, che a Venezia ha portato Los olores de la Guerra- Gli odori della guerra. In tre teche di vetro sono contenute tre boccette di profumo, veri profumi le cui fragranze nascono dalla combinazione di essenze estratte da elementi provenienti dalle tre battaglie per l’indipendenza di Cuba avvenute alla fine del XIX Secolo. Ogni boccetta porta il nome di uno dei grandi condottieri patrioti feriti a morte dalle truppe spagnole: José Marti, battaglia di Dos Rios, 1895, Ignacio Agramante, scontro di Jimaguayù del 1873 e Antonio Maceo combattimento di San Pedro, 1896. Da quei campi di battaglia l’artista, con un chimico e uno storico, ha raccolto erbe, fango, acqua per sitetizzare tre fragranze che contenessero al loro interno tutta la storia del suo popolo. Accanto ad ogni teca c’erano le classiche striscioline di cartoncino assorbente da profumeria, per annusare davvero l’essenza della guerra.
E infine giungemmo alle porte dell’inferno, ma per sapere cosa penso del Padiglione Italia dovrete aspettare la prossima puntata! (Continua…)
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