E’ morto nella sua Roma, la città che da tempo l’aveva adottato. E’ morto ad 83 anni dopo una lunga lotta contro il cancro ma il suo nome è leggenda già da diverso tempo, questo perché il potere della sua arte ha influenzato schiere di giovani leve in tutto il pianeta. Stiamo parlando di Cy Twombly, considerato assieme a Jasper Johns e Gerhard Richter uno dei più grandi pittori viventi dell’arte contemporanea internazionale.
Nel corso degli anni la grazia, la leggerezza ed il vigore compositivo di questo grande artista hanno saputo resistere ai richiami della Pop Art e del Minimalismo, abbattendo le barriere sia tecniche che ideologiche tra disegno puro e pittura. Macchie di vibrante colore, parole rubate a flussi di pensiero e liriche perdute, deliri segnici dal simbolismo romantico. Ed ancora, installazioni scultoree seminali, dominate dalla presenza di una materia assemblata con inalterata poesia. Questi e tanti altri ancora sono stati i tratti distintivi di una creatività immortale che ha consegnato Twombly alla storia. E la storia non dimenticherà l’immagine di un genio silente, lontano dai riflettori puntati e dai palcoscenici fin troppo scomodi di una scena sempre più votata al culto dell’immagine e sempre meno attenta ai contenuti. Un infaticabile artista affascinato dall’arte tribale e dai graffiti dell’antica Roma che fino a pochi mesi fa era ancora al lavoro per i preparativi di una prossima mostra alla Gagosian Gallery di Roma, dealer che da tempo lo rappresentava e che gli era fortemente legato. Basti pensare al fatto che al momento dell’apertura romana di Gagosian, alcuni magazine dichiararono che il vecchio Gaga aveva scelto la città eterna proprio per star vicino al suo artista preferito, forse per pure scelte commerciali o forse per una profonda stima ed ammirazione. Chiacchiericci a parte, assieme a Cy Twombly Roma perde una grande fetta della sua storia. Queste poche righe non vogliono rappresentare l’ennesimo coccodrillo ma il sentito addio di una sua fervente ammiratrice.
Micol Di Veroli
Tinatango 23 Luglio 2011 il 21:01
Cy Twombly e Lucian Freud muoiono nello stesso mese, in luglio – il primo agli inizi, il secondo alla fine. Tra loro, come tra due poli, si svolge l’arco di un intero processo artistico che va dalla figura umana all’astrazione – con loro muore quella tensione che ha coperto il secolo più recente.
Teorie molto comuni sostengono che la morte di chi ci abbia generato produca nelle nostre vite, insieme allo smarrimento doloroso, anche uno sgombero favoloso di prospettiva – il divenire orfani, come una liberazione.
In realtà, chiunque abbia vissuto l’esperienza diretta della perdita di una persona cara, si scopre piuttosto in un sentimento d’incredulità davanti alla salma e in un senso profondo di abbandono più che di liberazione, nel tempo che segue irreversibile del lutto. Chi abbia vissuto l’esperienza di perdita più simbolica di una figura maestra sa che, in questi casi, ciò che di colpo viene a mancare non è una prospettiva ingombrante – piuttosto la vitalità di un nutrimento, sebbene con radici profonde, che si produca ancora nell’oggi.
La morte di Cy Twombly e Lucian Freud, per il semplice fatto di costituire un evento irreversibile dell’esistenza umana, non rappresenta necessariamente la chiusura di un corso – piuttosto ne modifica la prospettiva. La loro perdita, nel contesto della loro opera – come quando di un intero corpo di testo ce ne rimangano, anche se articolati, soltanto frammenti – può rovesciare nel lavoro del nostro tempo quelle intuizioni ultime che ne hanno animato la ricerca artistica, che non si arrestano con la fine di una vita.