(Dove eravamo rimasti…) L’errore fu pensare che il tempo bastasse, erano le quattro di pomeriggio quando lasciammo l’Arsenale e dagli altoparlanti dei Giardini, alle sei di pomeriggio, esortano vivamente all’uscita. Il classico errore da principianti, non immaginavo la vastità del luogo, ne la quantità di cosa che avrei voluto/dovuto visitare, così “finire di visitare i Giardini” è diventata la mia scusa ufficiale per tornare a Venezia prima di novembre. Capirete dunque che le mie parole, d’ora in avanti, saranno semplici flash e non una critica completa e cosciente di quello che avviene là.
Col senno di poi avrei potuto saltare l’ultima parte di Illuminazioni, quella dentro il Padiglione Centrale, per visitare più padiglioni nazionali, ma con i se e con i ma…
Padiglione Centrale, dicevamo, poco esaltante, esattamente in linea con il percorso iniziato all’Arsenale da Bice Curiger: pacato, variegato, ma senza guizzi. Se ci aggiungete la nostra stanchezza, d’altronde camminavamo dalla mattina, capite da cosa deriva quel retrogusto amaro comparso in fondo alla gola… a volte si ha proprio bisogno di vita, nell’arte.
Entrando c’è il famoso Tintoretto, famoso nel senso che ha fatto parlare assai la sua presenza. Io sono del partito: idea sacrosanta, quella di ricordare che la contemporaneità è legata all’attimo e tutti sono stati contemporanei, in senso temporale, ma la riuscita non è ottima.
Molto meglio i piccioni di Cattelan, non sto dicendo blasfemia, ma credo siano migliori nel senso più divertenti. Tolgono dalle spalle quella fatica da cultura, sdrammatizzano e hanno quelle faccette buffe da piccione (ma va?) che ai miei occhi li hanno resi adorabili. Lo so che ora penserete sia impazzita, ripeto, non sto parlando del valore artistico dell’opera, fosse stata almeno un’idea nuova, ma della loro funzione all’interno di un contenitore del genere.
Il tanto osannato para-padiglione di Monika Sosnowska, sinceramente non mi ha esaltata, pur amando molto lo stile barocco applicato all’arredamento pop. Però ho fatto anch’io la foto di rito ad uno dei muri ricoperti di carta da parati kitch. Non fosse che al suo interno avevano inserito l’opera di Haroon Mirza, vincitore del Leone d’Argento. Un’opera musicale intrigante a livello mentale.
Ho apprezzato le geometrie silenziose di R H Quaytman, I Modi, da cui il titolo dell’opera, trae spunto da un libro di sonetti pornografici, illustrato da Marcantonio Raimondi, maestro incisore nel 1524. I disegni dunque sono elaborazioni di quelli cinquecenteschi e Quaytman coglie alla perfezione l’influenza che essi hanno avuto sull’arte visiva dei secoli a venire, le ritaglia, da loro nuova vita all’interno di elementi strutturali contemporanei.
Un Ryan Gander smaliziato e critico ha fuso una moneta da 25 euro e l’ha incastonata nel pavimento. Sostiene che nel 2036 sarà quella la moneta da un euro, e visto come sta andando l’economia, credo ci abbia visto giusto non solo sull’inflazione…
Un moto patriottico e un po’ sentimentale davanti al muro di fotografie di Luigi Ghirri scattate negli anni Settanta. Piccoli angoli di quotidianità elegante e poetica.
Infine l’opera di Amalia Pica: ha ricreato un vero e proprio muro scrostato e scarabocchiato da periferia di ogni luogo dentro al Padiglione centrale. Ancora una volta vince la leggerezza, anche se qui è velata di malinconia. E che dire del tableau vivant intitolato Strangers che vede due sconosciuti reggere per ora un filo di bandierine dentro le sale della mostra, separati da quel filo teso non si conosceranno mai, ma condivideranno l’opera.
A presto per un paio di considerazioni sui padiglioni nazionali, non cambiate sito nel frattempo. (Continua…)
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