Attingere a piene mani immagini realizzate da altri, ricavate per lo più dal web, è una prassi diffusa e fatta propria da numerosi artisti che, intervenendo su di esse con modalità diverse, conferiscono a tali immagini significati e concetti nuovi per allinearle alla personale ricerca artistica. Guardando solamente alla tecnica, a mero titolo di esempio si possono menzionare i lavori di Thomas Ruff1, come quelli di Abigail Reynolds2 o di Nico Vascellari3.
Varie sono le riflessioni e le letture critiche che si possono compiere circa il senso delle opere degli artisti citati, ma si vuole soffermare l’attenzione a una differente considerazione, finanche una digressione, esplosa con quella forza che è la peculiarità dell’arte, davanti alle tre fotografie di grande formato, di Zbiniew Libera (Pabianice, Polonia, 1959) attualmente esposte nella corposa mostra internazionale History in Art (La storia in Arte).
Allestita nel MOCAK – Museum of Contemporary Art in Kraków4 e curata da Maria Anna Potocka (dal 20 maggio al 25 settembre 2011), l’esposizione di Cracovia vuole analizzare come la storia costruisce la società e l’individuo attraverso quelle immagini della storia messe in circolazione dagli artisti. In quelle in bianco e nero della serie Positive (2002-2003) realizzate dall’artista polacco, immediatamente si riconoscono le situazioni congelate negli scatti perché ormai parte dell’immaginario collettivo, se non addirittura divenute delle vere e proprie icone, e cioè Kim Phuc (1972), Prigionieri di un campo di concentramento e La morte di Che Guevara (1967). Ma sono immagini che nell’attimo successivo al loro riconoscimento, mostrano una realtà, una situazione, diversa da quella individuata, perché non c’è la bimba nuda, urlante e piangente che corre a braccia levate, ma una giovane ragazza che ride, come intenta in un gioco con i suoi amici (Nepal, 2003); non ci sono più degli uomini scarni, nella sdrucita divisa della vergogna, emaciati, ma sorridenti volti di spensierati cittadini (Residenti, 2002) e, infine, non c’è più il corpo esangue del Che Guevara in seguito alla sua esecuzione, ma uno spensierato e gaudente Che che con gusto fuma il suo famigerato sigaro addirittura acceso da uno dei suoi secondini (Che. La fotografia successiva, 2003).
Con l’intento di rendere quindi positivo un evento negativo, attraverso un capovolto d’après, Zbiniew Libera è pienamente portavoce di un comune atteggiamento. Nell’attuale epoca, con sempre maggiore difficoltà si elaborano i sentimenti negativi, quali il dolore, e si rifuggono pensieri ineluttabili, quale la morte, un’epoca cioè alimentata dalla sconfinata fiducia nella scienza che ha trasmesso l’illusione di un’impossibile immortalità, si tende a svuotare di significato negativo e, quindi, a toglierne la portata dolorosa, alcuni fatti, a edulcorare la realtà, per renderla più accettabile. Simile atteggiamento, se da un lato, aiuta quindi a superare alcuni episodi altrimenti inaccettabili, dall’altra rende ancora più sottile il confine tra il reale e il virtuale, tra il vero e l’impensabile. Colpisce, infatti, che tutti i testimoni e i sopravvissuti di eventi drammatici, quali le Twin Tower o Utøya, intervistati, come prima dichiarazione del loro racconto, dicano che non credevano che fosse realtà. Quindi è inevitabile domandarsi: quante e quali conseguenze può comportare la mistificazione della realtà?
note:
1. Thomas Ruff, Nudes, 1999-2002
2. Abigail Reynolds, The Universal Now, 2008
3. Nico Vascellari, Blonde, 2008
4. MOCAK – Museum of Contemporary Art in Kraków, progettato dagli architetti italiani Claudio Nardi e Leonardo Maria Proli, è stato costruito all’interno della fabbrica di Oscar Schindler -l’imprenditore tedesco famoso per le sue azioni eroiche e protagonista del film di Spielberg- adattando sei fabbriche preesistenti con l’aggiunta di uno realizzato ex novo.