Il 14 settembre Viafarini – DOCVA di Milano inaugura la mostra La Montagna Verde di Adelita Husni-Bey. Il lavoro di Adelita Husni-Bey riguarda la relazione tra dimensione individuale e collettiva, tra sentimento di singolarità e sentire condiviso in rapporto ai luoghi e alla storia.
Ad ispirare questa sua nuova mostra è un luogo che l’artista conosce da sempre, il Jebel Al Akhdar, o Montagna Verde: un luogo in cui, più che altrove, la dimensione spaziale si stratifica e si carica di connotazioni diverse: autobiografiche, perché il Jebel è stato scenario di momenti familiari per le generazioni di persone cresciute in Libia; e storiche, perché l’altopiano è stato teatro di guerriglia e di resistenza in diversi, cruciali momenti: è lì che la storia del paese si è fatta e ancora oggi si fa.
Punto di incontro tra vicende individuali e storia collettiva, il paesaggio del Jebel Al Akhdar risulta così essere un’area dalle forti potenzialità narrative. Adelita Husni-Bey, che con la Montagna Verde intrattiene una relazione tanto sentimentale quanto conoscitiva, conferisce evidenza sensibile a questa sua caratteristica attraverso un’installazione unitaria imbastita di oggetti, immagini, voci e testi. In questo modo implicitamente allude al ruolo fondamentale che la memoria ricopre nell’dentità dei luoghi, ma anche alla complessità del concetto di autobiografia, apparentemente basata su ricordi personali, in realtà costrutto a posteriori.
La mostra dà spazio alle diverse dimensioni del luogo: dalle rappresentazioni istituzionalizzate alle proiezioni collettive, dalle immagini di chi, visitandolo, l’ha percepito come straordinariamente esotico, alle memorie private di chi l’ha vissuto da bambino, a quelle di coloro che, il Jebel, lo hanno vissuto o lo vivono oggi da combattenti. Di queste geografie parallele, nessuna è univoca: nella testimonianza del combattente che descrive le specificità del territorio risuona l’esperienza vissuta; nella mappa della Homeland Security, ad essere evidenziati, prima ancora che gli epicentri strategici dell’area, sono i siti archeologici ed il loro stato di conservazione; un backgammon intarsiato, con le sue pedine di legno su campi avversi, è il passatempo di una giornata in gita, ma anche una metafora della sfida e dei confini da conquistare. Tra i cespugli si può giocare o combattere. Le grandi, oscure caverne, che l’artista disegna come se fossero viste dall’interno e dall’esterno al contempo, sono quelle in cui i bimbi si nascondono, in cui le coppie si appartano, in cui i guerriglieri si rifugiarono un tempo per sottrarsi alle forze colonizzatrici e si rifugiano oggi per sfuggire a quelle governative. Ma quelle immagini evocano pure le profondità psicologiche che possono fagocitare i nostre ricordi, dalle quali il passato può a tratti riemergere.