L’Italia è stata declassata dall’agenzia internazionale di Rating Standard & Poor’s. Per chi di economia non ne mastica poi tanto significa che il voto sul nostro debito pubblico è sceso di un punto. Questo perché secondo l’agenzia americana il nostro Paese ha deboli prospettive di crescita economica ed è guidato da una coalizione fragile.
“E questo che c’azzecca con l’arte contemporanea?” direte voi. La risposta è che purtroppo tutto il sistema artistico nazionale è regolato dalla politica e se questa capitola, il medesimo destino, di riflesso, spetta alla nostra scena creativa. Il guaio è che questa volta il declassamento artistico ci ha colpito ben prima di quello economico. “Le istituzioni museali italiane, quasi sempre condizionate ad un “protettore” politico, difficilmente vivono sul rispetto della professionalità del direttore o della direttrice.”dichiara Germano Celant riguardo alle vicende del Castello di Rivoli, descrivendo un fallimento che di fatto ha di gran lunga anticipato quello economico. Questa politica non ha gli strumenti adatti per decidere sui poli culturali del nostro paese ma pretende di farlo comunque, influenzando le scelte curatoriali ed i progetti dei direttori, consigliando artisti-amici da mettere in vetrina (i peggiori che si siano mai visti in Italia) e legando le mani a chi avrebbe i numeri per decidere. Del resto anche l’abbandono di Luca Massimo Barbero dal MACRO di Roma è il chiaro esempio di una classe politica cieca, ma di casi come questo nel nostro paese ne esistono a decine.
Il declassamento dell’Italia dell’arte era già avvenuto con la nomina di Vittorio Sgarbi come curatore del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia di quest’anno. Il Padiglione è stato disastroso, tutto il mondo ha riso di noi ed ora i nostri artisti, quelli veri, non hanno più alcuna credibilità. Siamo dei declassati perché i nostri cervelli migliori sono fuggiti all’estero, perché i nostri magazine di settore si sono trasformati in una Pravda di regime, perché i soldi per i monumenti pubblici vengono stanziati all’artista amico di turno. Nel nostro paese l’arte contemporanea si è trasformata in un favore, una merce di scambio tra gruppi di potere. Questa condizione non produrrà mai il terreno fertili di cui avremmo bisogno. Ed allora che ben venga il declassamento.